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Paolo Mieli: toghe e politica. Una inquietante verità sulla magistratura italiana

Cristina Agostini
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"Nonostante Antonio Di Pietro dopo varie avventure sia finito ai margini della vita politica, l'Ordine giudiziario di cui un tempo fece parte è divenuto via via più potente. E in grado di condizionare la vita politica del Paese". Paolo Mieli, nel suo editoriale su il Corriere della Sera, dice una verità inquietante sul legame tra magistratura e politica in Italia. "Da noi è  divenuta quasi normale la delega ai magistrati del ruolo di oppositori. Cioè di coloro che possono consegnare, direttamente o indirettamente, al patibolo questo o quel ministro". Così, continua durissimo Mieli, "chi entra a Palazzo Chigi può mettere nel conto qualche sorpresina proveniente - per via diretta o indiretta, ripetiamo - dai palazzi di giustizia. Il potere della magistratura è divenuto a tal punto consistente da produrre al proprio interno competizione e conflitti in misura maggiore del passato".  Leggi anche: "Zingaretti? Un leaderino". Cacciari lo stronca in diretta: perché ha sbagliato tutto Parole durissime le sue. Supportate dallo scandalo che "ha testé travolto il Csm e l'Anm originato - teniamolo a mente - dalla supposta corruzione del pm romano Luca Palamara al quale si imputa di aver ricevuto quarantamila euro per «agevolare» la nomina del collega Giancarlo Longo a Procuratore di Gela (tentativo peraltro non riuscito)". Ma quello che oggi colpisce, sottolinea Mieli "è che - per una sorta di contrappasso - ad esser travolti da questo evidente abuso siano adesso dei magistrati. Cioè coloro che usualmente si erano mostrati i meno sensibili ai pericoli insiti nell'uso pubblico delle intercettazioni".  E ora "accettiamo persino - al di là di qualche deplorazione di maniera - che qualche ombra si allunghi sulle anticamere del Quirinale. Restiamo invece come sospesi ad attendere gli ulteriori sviluppi di questa storia e di quelle che verranno da nuovi trojan inseriti in altri telefonini". 

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