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Luigi Di Maio, Roberto Fico non vota su Rousseau: scomunica al capo M5s?

Davide Locano
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Come previsto, Luigi Di Maio è salvo. La votazione sulla piattaforma Rousseau ha confermato, con una maggioranza schiacciante, 4 voti contro 1, l' 80%, la fiducia al capo politico del M5S: i sì sono stati 44.849 contro 11.278 no. «Battuto ogni record», è il commento del Blog Cinque Stelle. E il vicepremier ringrazia promettendo di avviare, a breve, «una profonda organizzazione». Del resto Beppe Grillo e Davide Casaleggio, il giorno prima, avevano già anticipato l' esito. È il modello Raggi: ci sono momenti in cui conviene blindare chi ha responsabilità. Anche se sbaglia, anche se i risultati sono deludenti. Ma l' analisi costi-benefici, in questo caso, come in quello della Capitale, ha sentenziato che il male minore è tenere Di Maio. E così è stato. Leggi anche: Casaleggio, il responsabile del flop M5s Tutto risolto? Per niente. Le tensioni restano. Sia dentro il Movimento che nel rapporto nel governo. Per il primo capitolo, bastava leggere quello che scriveva, a fine giornata, prima che si chiudesse la votazione, Roberto Fico. Il presidente della Camera, capofila degli "ortodossi" non ha partecipato alla votazione: nell' assemblea che si è svolta l' altro giorno coi parlamentari, ha scritto su Facebook, «ho subito detto di non essere d' accordo con il lancio della votazione di oggi su Rousseau. E per questo non parteciperò al voto. Sono sempre stato contrario alla politica che si identifica in una sola persona» perché alla fine «significa non cambiare nulla». Ancora: «Le linee politiche vanno definite in modo collegiale, senza rincorrere strategie comunicative e umori del momento. E solo dopo comunicare. In questo modo si riafferma l' importanza della politica su tutto il resto». QUESTIONE D' IDENTITÀ Ma la critica non si limita al metodo: «Abbiamo bisogno di costruire un percorso identitario forte, con valori e principi sempre più chiari e saldi che nessuno potrà mai calpestare». È giusto guardare ai sondaggi, ma la politica non può limitarsi a questo. «E anche noi», accusa, «siamo caduti in questa trappola». Una critica forte e chiara. Restano, poi, le tensioni nel governo. Matteo Salvini e Di Maio non si sono ancora parlati. Il vertice a tre con il premier Conte non c' è stato e non si sa quando ci sarà. Intanto il leader leghista, ieri, ha aperto un nuovo fronte: il rimpasto. Con una modalità particolarmente insidiosa. Non ha chiesto, infatti, poltrone alla Lega. Ma che gli altri, i Cinquestelle, cambino alcuni ministri che secondo il Carroccio non hanno lavorato bene. I nomi sono tre: Danilo Toninelli, Sergio Costa, Elisabetta Trenta, rispettivamente responsabili delle Infrastrutture, dell' Ambiente e della Difesa. «Non chiedo niente a nessuno», ha detto Salvini, ma «è chiaro che su alcuni settori ci sono problemi perché per difendere l' ambiente non puoi bloccare un intero Paese». Quanto alla Difesa,«i militari meritano copertura politica totale: ho come avuto l' impressione che non tutti si siano sentiti protetti e tagliare gli investimenti sulla difesa è suicida». CHI DEVE DECIDERE? Detto questo, «lascio ad altri le scelte che competono loro, sono pienamente soddisfatto del lavoro dei ministri della Lega. Non li chiedo per la Lega». Poi c' è da riempire il posto lasciato da Paolo Savona: «C' è un ministero vacante (Affari europei, ndr.) di questo parlerò con Conte e siccome saranno mesi fondamentali per le dinamiche comunitarie, non avere nessuno è bizzarra cosa, Conte ha troppi dossier». Poco dopo, ecco la replica del M5S: «Noi rispettiamo tutti e abbiamo sempre rispettato il lavoro di tutti, chiediamo che Matteo Salvini faccia lo stesso verso i ministri M5S. Basta attacchi, vogliamo lavorare». Ed è intervenuto anche Toninelli: «Salvini fa bene a dire che sblocchiamo opere come mai accaduto prima. Intanto, però», dopo le dimissioni di Rixi, «il ministero è dimezzato e per lavorare a pieno regime serve una squadra al completo che ci auguriamo venga ricreata al più presto». Un modo elegante di far notare che i buchi, se ci sono, stanno dall' altra parte. Ma persino nella compagine pentastellata al governo, ci sono conflitti. Prova ne è il caso esploso attorno alle parole del sottosegretario grillino alla Difesa. Angelo Tofalo, su Facebook, si è scagliato contro il ministro Trenta, in quota Cinquestelle, parlando di «scelte incomprensibili» prese nel suo ministero, «che hanno solo rafforzato l' influenza di capi e capetti del passato. Il tutto, purtroppo, a discapito del Paese». L'uscita di Tofalo ha mandato su tutte le furie i vertici del M5S, che hanno preso le distanze dalle parole del deputato salernitano, definendole «molto gravi». Uno scontro che si è concluso in serata con Tofalo che ha rimesso il proprio mandato da sottosegretario nelle mani di Luigi Di Maio. di Edda Guerrini

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