Giuseppe Conte, danza macabra in Spagna: "golpe" del premier per "arrestare" Lega e Matteo Salvini
Quando il premier Giuseppe Conte cambia lingua e si traveste da José Conde, suo fratello gemello spagnolo, smette di essere un moderato arbitro della politica e si trasforma in un avventuriero, un Comandante, un eroico Cavaliere della Mancia o un cazzutissimo Caudillo. Avoca a sé il potere, fa la voce grossa, lui che di solito ha quel tono vocale così pacato e flebile, dice testualmente «al frente del gobierno estoy yo», cioè «alla guida del governo ci sono io», e indossa i panni, o così vuole far credere, di LÍder Máximo. Nell'intervista rilasciata ieri al quotidiano spagnolo El País, il nostro presidente del Consiglio osa dove mai aveva osato in dichiarazioni alla nostra stampa o in discorsi istituzionali. Fa il controcanto a Salvini, gli risponde per le rime su temi come immigrazione e nazionalismo, riduce il capo stesso della Lega a guida (prestigiosa) di una fazione di governo, a un suo sottoposto, ribadendo il suo ruolo di vicepremier, o meglio di viceré, tanto per restare in tema di Spagna. Leggi anche: Conte, errore sulla revoca contro Siri: il Colle stoppa tutto Sorprende il coraggio, la decisione, a tratti la stizza, con cui José, al secolo Giuseppe, fa capire che il potere è nelle sue mani, che non è un Conte di poco conto e tantomeno un Visconte dimezzato, ma un Capo facente piena funzione. SONO IL NUMERO UNO «Se da fuori o all' estero», spiega il premier al giornalista, «richiamano di più l' attenzione le dichiarazioni o l' immagine di Salvini, che ha una grande capacità di comunicazione, e si crede che al governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Salvini, come Di Maio, sono vicepresidenti e leader delle due forze che formano il governo». Della serie: io il Numero Uno, loro i Numeri Due. Ma al gobierno está un hombre solo al comando. Questa rivendicazione del ruolo e dei poteri annessi fa il paio con una presa di posizione nettissima in merito alle questioni cruciali sulle quali si regge, per buona parte, il consenso di Salvini: l' immigrazione, la difesa della nazione, l' Europa. Conte d' un tratto dimentica di aver voluto, dietro esplicita sollecitazione del ministro dell' Interno, uno stop all' immigrazione clandestina, e minimizza la politica dei "porti chiusi", la fa apparire non così drastica e non così risolutiva. «Che significa porti chiusi?», chiede Conte indispettito al giornalista. «Vede quanti migranti sono arrivati da quando siamo al governo. Perché dice questo? Noi abbiamo accolto migranti». E, pur riconoscendo che «siamo passati a una politica di maggior rigore», sostiene di averlo fatto «per offrire integrazione» ai migranti perché in fin dei conti «il problema non sono gli sbarchi, ma la regolazione e la gestione dei flussi» e l' unico scopo deve essere quello di «accogliere in forma dignitosa». Senza tra l' altro rispedire più i migranti in Libia perché essendoci «una guerra in corso, non può essere un porto sicuro»; e se Salvini in passato ha dichiarato che sarebbe opportuno rimandarli lì, allora «lo vada a chiedere a lui». AVVOCATO DELL'EUROPA Il Conte in versione iberica non riesce neppure più a sopportare la rigida difesa delle frontiere, ripudia il sovranismo, pur essendosi definito non molto tempo addietro populista e avvocato del popolo italiano. Ora all' improvviso Conte si scopre avvocato di una Europa fuerte y unida, sostenitore di una maggiore integrazione, non solo dei migranti ma anche europea. E così dichiara che «non c' è bisogno di derive nazionaliste antieuropee», ma al più di «contributi critici». Con buona pace di Salvini che difensore della nazione Italia lo è eccome. Perfino sul metodo il Conte da Volturara Appula ormai nei panni di Gladiatore Hispanico prende le distanze dal vicepremier, sottolineando che «la mia comunicazione è diversa» da quella di Salvini, «un compagno di viaggio col quale mi confronto molto serenamente», ma con punti di vista agli antipodi. Al di là delle singole dichiarazioni, l' impressione è che Conte abbia adottato uno stile più aggressivo di comunicazione fondamentalmente con tre intenti: accreditarsi, parlando non a caso con un giornale straniero, come una figura rassicurante a livello internazionale e soprattutto europeo; ristabilire il suo ruolo di leadership, nell' immaginario fuori dai nostri confini, sentendosi troppo offuscato dalla stella di Salvini; spostare un po' meno a destra l' asse di questo governo, mostrandosi conciliante su Europa, immigrazione, difesa delle frontiere. Magari il suo sogno è diventare un giorno guida illuminata d' Europa, novello Carlo V, ultimo imperatore a unire il nostro continente. Ma molto più probabilmente egli dovrà accontentarsi di essere l' ennesimo compagno europeista, forte delle trite parole d' ordine: «Hasta la victoria siempre. Europa o muerte». di Gianluca Veneziani