Pdl, in 400 verso l'ok al documento di Alfano
Il giorno del giudizio, quello della conta: il 16 novembre. Silvio Berlusconi, tagliando i tempi, ha convocato il Consiglio nazionale del Pdl. Lo scontro sarà tra le due correnti: quella dei lealisti capeggiati da Raffaele Fitto e quella dei filogovernativi che vede in Angelino Alfano la sua stella. Fabrizio Cicchitto, colomba, affila le armi e dichiara: "E' una partita tutta da vedere. La riunione è prevista per il 16, c'è tutto il tempo per riflettere e decidere" se disertare la riunione, come avvenne nell'ultimo ufficio di presidenza. Nel frattempo i pro-Letta hanno redatto un documento in cui spiegano che "ci riconosciamo nella leadership di Berlusconi". Ma, soprattutto, spiegano che "disattendere le istanze di stabilità" significherebbe "tradire l'Italia". Ed è su questo punto che si può consumare la definitiva rottura nel Pdl. I filogovernativi spiegano: facendo crollare le larghe intese si "tradisce l'Italia, si marginalizza il centrodestra e si allontana la prospettiva di governo a tutto vantaggio della sinistra". La conta - Il testo, redatto nella notte tra martedì e mercoledì, prima di sabato 16 novembre potrebbe subire qualche limatura, ma la sostanza non cambierà. Gli alfaniani spiegano che il documento "non deve essere visto come alternativo" a quello a cui lavorano i lealisti, Fitto e Denis Verdini su tutti. Ma il dado è tratto: Angelino e i suoi chiedono di tenere in vita il governo Letta anche dopo il voto sulla decadenza. Non una cosa da poco, non c'è nulla di scontato. E proprio poiché la situazione è difficile da decifrare e può portare alla scissione, Alfano e i suoi cercano di capire quanti degli ottocento membri del Consiglio nazionale del partito potrebbero firmare il documento pro-Letta. La base di partenza, le firme "già sicure", sarebbero 312. A queste, spiegano, ci sono altri "90 voti probabii". La metà esatta, insomma, secondo le stime dei filogovernativi. Le regioni - Forti di questi numeri, Alfano e i suoi hanno cercato di calcare la mano, aggiungendo nel documento anche un principio sui meccanismi di democrazia interna del partito: viene chiesta "l'introduzione di criteri di meritocrazia". Nel dettaglio, ci si riferisce ai coordinatori della nuova Forza Italia, che devono essere due: uno per corrente. Come andrà a finire lo scopriremo solo tra qualche giorno. Il vicepremier sente di avere la maggioranza in almeno sei regioni: nella Lombardia di Lupi e Formigoni, in Piemonte, in Abruzzo e Basilicata, nella "sua" Sicilia e anche in Calabria. Ma c'è un dato che proeccupa Angelno: metà delle regioni che alle scorse elezioni hanno fermato la corsa del Pd verso Palazzo Chigi, ovvero Sicilia e Calabria, stanno con i governisti.