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Pdl diviso, Bondi: "Se accetta la decadenza di Berlusconi lascio il partito"

Sandro Bondi

Giulio Bucchi
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La decadenza di Silvio Berlusconi e l'accelerazione del Pd, che al Senato ha detto sì al voto anticipato al 27 novembre, non ha solo incrinato la solidità già precaria del governo Letta. E' anche il Pdl, diviso tra lealisti e governisti, a traballare. "Io non ci sto", sbotta Sandro Bondi, preoccupato dai tentennamenti del suo partito. Talmente preoccupato da minacciare l'addio pur di spronare i colleghi: "Se il Pdl-Forza Italia si avvia a diventare un partito di correnti, animosamente contrapposte sulla base di ragioni di puro potere, e se la prospettiva è quella di accettare supinamente, pur con qualche vibrante dichiarazione di facciata, la decadenza di Berlusconi dal Parlamento, oltre al fatto di dover votare a qualunque costo una legge di Stabilità che contribuirà a peggiorare la crisi e la sofferenza di tutti gli italiani, personalmente - avverte il coordinatore Pdl - dopo tanti anni di onesto impegno non potrò approvare e riconoscermi in queste scelte". L'uscita di Bondi riflette l'amarezza di almeno metà partito, che per bocca di Fitto, Carfagna e Bernini, per esempio, subito dopo il blitz del Pd sulla decadenza ha ricordato come sia ormai "impossibile governare con questi alleati". Dall'altro lato, però, Bondi tenta di ribadire il concetto già espresso proprio da Berlusconi, poche ore dopo quel blitz: "Basta litigare, il centrodestra deve restare unito". E quel riferimento alle "correnti animosamente contrapposte sulla base di ragioni di puro potere" non è solo lo sfogo personale del dirigente storico.

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