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Pdl, l'esempio di Renzi: le primarie possono diventare un Vietnam

Da sinistra, Angelino Alfano, Silvio Berlusconi e Daniela Santanchè

La sfida interna, richiesta da Alfano, va di moda. Ma il Pd insegna che porta più danni che benifici. E molta rogna a chi la vince

Giulio Bucchi
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Dici «primarie» e subito nell'aria si spande il dolce profumo della democrazia. Potrebbe anche essere vero, al netto della retorica agghiacciante di cui le ha ammantate il Pd negli ultimi anni. Ora se ne comincia a discutere seriamente pure all'interno del Pdl, ed è invitante l'idea che lo schieramento di centrodestra chiami ad esprimersi  - come dice Angelino Alfano - «il più alto  numero  di simpatizzanti» in una votazione che sia «il più aperta possibile». Non per nulla Libero, sia sul giornale che sul sito internet, è stato il primo a proporre questo tipo di confronto fra candidati dell'area moderata e conservatrice, ottenendo per altro una grande partecipazione dei lettori. Le primarie, sulla carta, hanno innumerevoli aspetti positivi. Fanno sentire gli elettori coinvolti, e questo è bene. Garantiscono grande visibilità mediatica ai partecipanti, e questo - più cinicamente - è anche meglio. Il Partito democratico, grazie alla competizione fra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani riuscì a monopolizzare il dibattito giornalistico, soprattutto quello televisivo, per parecchi giorni, grazie ai vari faccia a faccia. Con tutta probabilità, se il Pd non avesse organizzato le primarie, oggi Laura Puppato sarebbe un'illustre sconosciuta (magari sarebbe anche un bene) e di sicuro nessuno avrebbe mai sentito nominare Gianni Pittella, il cui volto è ancora ignoto alla maggioranza degli italiani (che ne trae enorme sollievo). Dunque anche il Pdl potrebbe trovare il modo di beneficiare di un confronto aperto, selezionando la propria classe politica e magari cavando fuori qualche homo novus dal cilindro. Occhio, però. Perché il dibattito è più che mai salutare, ma prima di prendere qualunque decisione è opportuno riflettere proprio su ciò che le primarie hanno rappresentato per il Pd. E, soprattutto, sui cataclismi che gli hanno scatenato contro, tanti e tali da far sorgere il dubbio che - dopo tutto - queste benedette primarie portino anche una discreta sfiga. Gli esperimenti - Il primo esperimento risale al 2005, quando venne incoronato leader dell'Unione Romano Prodi. Si trattava di primarie farlocche, con Mortadella sicuro vincitore. E infatti, qualche tempo dopo, il governo di centrosinistra si è miseramente sgretolato. Attualmente, alcuni dei principali contendenti allora in campo - Bertinotti, Pecoraro Scanio, Di Pietro e Mastella - sono fuori dal Parlamento. Insomma, un inizio col botto. A Prodi, poi, è toccato un supplemento di sfortuna primariesca poco tempo fa, quando un bel gruppo di simpaticoni del suo partito si è rifiutato di votarlo come presidente della Repubblica. Nel 2007, dall'aspra contesa per la carica di segretario del Pd è uscito vincitore Walter Veltroni, il quale - va detto - era già abbastanza sfigato di suo. Gran discorsi, gran pubblicità, ennesima fine ingrata, con Walter costretto a rifugiarsi nella scrittura. Non potendo sfogarsi con D'Alema e soci, ha deciso di prendersela con la narrativa italiana, che non gli aveva fatto alcun male. Nel 2009 le primarie hanno eletto segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che ha superato Dario Franceschini, tanto per vincere facile. Il quale Bersani, onde incrementare il carico di sfiga, ha deciso di organizzare le elezioncine anche nel 2012, stavolta per individuare il possibile premier. Come racconta un libro appena uscito firmato dai bersaniani di ferro Stefano Di Traglia e Chiara Geloni (Giorni bugiardi, Editori Riuniti) tutti i notabili del partito gli sconsigliarono di misurarsi con altri candidati, in primis Matteo Renzi. Pare addirittura che D'Alema avesse pronosticato a Pier Luigi un terzo posto. Un uomo a pezzi - Beh, Bersani ha vinto le primarie, ma le devastanti conseguenze che ha avuto sul piano umano e politico sono consegnate alla storia. Dopo aver perso elezioni politiche che sembravano già vinte, l'omino di Bettola non è riuscito a formare un governo che fosse uno. Si è umiliato peggio di Fantozzi dietro Beppe Grillo (sempre Di Traglia e la Geloni, nel libro, raccontano che cercò pure di blandire il comico contattando il suo dentista), poi è stato malamente allontanato. Danno e beffa aggiuntiva per Bersani: la sua graziosa portavoce Alessandra Moretti lo ha mollato, ha flirtato con Renzi e poi si è schierata con Gianni Cuperlo. Il bombardamento su Dresda ha causato meno danni. E veniamo all'oggi. Da mesi Matteo Renzi è dato per super favorito. Come sede del suo comitato elettorale ha perfino scelto un loft a Roma (lo fece anche Veltroni: un ottimo auspicio). Bene, nel giro di qualche giorno ecco che la sua imbattibilità comincia a perdere colpi. Nel corso della prova generale per le primarie - cioè i congressi del Pd per scegliere i segretari locali, che dovrebbero rappresentare un buon quadro dei rapporti di forza - pare che Gianni Cuperlo sia in vantaggio (49 segretari contro i 35 renziani, i quali sostengono che i dati siano truccati). Il boomerang - Renzi, il golden boy all'apparenza invulnerabile, messo in difficoltà da uno che era già stato battezzato «Cuperloo», per via della sconfitta annunciata. Uno che sembra Klaus Kinski nei momenti peggiori e come slogan ha scelto «Bello e democratico», qualificandosi da solo come più bello che intelligente. Nel frattempo, il partito è nel caos. Ad Asti si sono iscritti al Pd, pare in quota Renzi, circa duecento albanesi in quattro ore. Tutti folgorati sulla via di Firenze, guarda un po'. E Cuperlo ha subito gridato ai brogli. A Torino gli iscritti sono magicamente raddoppiati. A Frosinone chiedono annullamenti a destra e a manca. A Caserta è stata rinviata l'elezione del segretario provinciale. A Rovigo e Piacenza denunciano anomalie. A Roma si sono menati di fronte a una sezione. Una gioiosa macchina di pirla, in pratica. Sembra di vedere quel che avvenne nel 2011 a Napoli, quando le primarie furono bloccate dopo che Roberto Saviano, su Repubblica, aveva denunciato una serie di brogli. Il fatto è che nel Pd, appena sentono la parola «primarie» cominciano ad affilare i coltelli, pregustando il momento in cui li conficcheranno nella schiena più vicina. Le correnti si massacrano fra loro, vengono a galla magagne terribili, sospetti di compravendite di voti, accuse reciproche, insulti e sputi. Quindi, occhio. Perché se il Pd - che ormai ha qualche anno di pratica di primarie - offre questo spettacolo, c'è il caso che anche per il Pdl le primarie si trasformino in una sorta di Vietnam in cui pure il vicino di casa è pronto a farti fuori senza pensarci due volte. Specie in questo momento in cui la tensione fra falchi e colombe è piuttosto elevata, il pericolo è dietro l'angolo. Per cui, si discuta pure di democrazia nel Pdl. Ma tenendo ben presente l'immagine di un uomo abbandonato da tutti, seduto solo vicino alla sua birra: Bersani. E, di nuovo, basta la parola.  di Francesco Borgonovo

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