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Pd, così con Berlusconi decaduto Renzi, D'Alema e Grasso si spartiranno le poltrone

Pietro Grasso, Matteo Renzi e Massimo D'Alema

Col voto palese la sinistra vuole spingere il Cav a far cadere Letta. Obiettivo: andare al voto e occupare tutti i posti

Giulio Bucchi
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La scelta della giunta presieduta da Pietro Grasso è stata indecente dal punto di vista etico, ma tutt'altro che fessa. Fare carne di porco del regolamento del Senato per imporre il voto palese sulla sorte di Silvio Berlusconi è stato un gesto di spregiudicata lucidità politica, il momento in cui sono stati piantati i semi per gli assetti futuri. Lo scopo è quello di uccidere il governo lasciando la pistola fumante in mano al Cavaliere. Ottenere il voto in primavera - obiettivo di tre quarti del Pd, di tutta Sel, della setta grillina e dei reduci montiani – a costo zero. Anzi, meglio: scaricando sul Pdl e il suo leader il prezzo politico dello scioglimento anticipato delle Camere, del rialzo dello spread e di tutti i provvedimenti d'urgenza che, a quel punto, verrebbero imputati alla «irresponsabilità» dei berlusconiani. Questo, più il fatto di sfidare alle elezioni un centrodestra privo del suo fondatore, dovrebbe consegnare alla sinistra una facile vittoria.  Un omicidio perfetto. Al quale Berlusconi, però, non ha ancora deciso se prestarsi: l'idea di arroccarsi in un fortino con i fedelissimi non lo induce a salti di gioia e resta una sorta di ultima spiaggia. Al momento l'ex premier è riuscito a contenere la rabbia. Ai falchi che mercoledì notte gli chiedevano di dare ai ministri l'ordine di ritirarsi dal governo ha riposto picche, anche perché consapevole che quell'ordine non sarebbe stato eseguito. E ha dato il via libera a Renato Brunetta affinché tratti con il governo le modifiche alla legge di stabilità: segno che l'ordinaria amministrazione, malgrado tutto, prosegue. Sintomatico, comunque, che nel Mattinale, l'house organ di palazzo Grazioli confezionato dallo stesso Brunetta, ieri si leggesse che «se fanno decadere Berlusconi, dura minga». Nel Pd e attorno ad esso tanti sono convinti che il Cavaliere sia una bomba pronta ad esplodere. E che quindi la crisi del governo sia dietro l'angolo, e con essa le elezioni in primavera e tutto il resto. E si stanno adoperando per assicurare un simile esito.  Matteo Renzi si è impegnato con Enrico Letta a non tramare contro il governo, ma la sua promessa è scritta sull'acqua. Le elezioni nel 2015, data auspicata dal premier, non convengono al sindaco di Firenze. Intanto perché la sua forza elettorale, cioè la capacità di ottenere voti al centro, è alta finché è visto come homo novus e non come leader di parte. Ma dopo un anno e mezzo trascorso a fare il capo del Pd, questa sua qualità inevitabilmente svanirebbe. Il secondo motivo è il partito: nei congressi provinciali il rivale Gianni Cuperlo gli tiene testa alla pari. In altre parole le primarie dell'8 dicembre premieranno pure Renzi, ma buona parte dell'apparato gli resterà ostile. Quanto può resistere al logoramento un segretario che non controlla il partito? Renzi ha così due ottime ragioni per andare al voto quanto prima, che diventano tre mettendo nel conto lo sbandamento del centrodestra.  Siccome in questo momento profuma di vittoria, trovare alleati non gli è difficile. La distanza politica che separa Renzi da Nichi Vendola sarà grande in teoria, ma all'atto pratico più che gli ideali contano i tatticismi, e questi consigliano ad ambedue di allearsi. Stesso ragionamento che induce Scelta Civica, o meglio l'ala del disastrato esperimento centrista che fa capo a Mario Monti, a cercare l'intesa con Renzi. La prova d'amore gliel'ha data la senatrice Linda Lanzillotta, rinnegando tutte le belle cose che aveva detto sul voto segreto e dando il proprio decisivo consenso allo scrutinio palese sulla pratica Berlusconi. Della partita fa parte pure Beppe Grillo, che dal voto anticipato e dallo sfaldamento del centrodestra conta di guadagnare il ruolo di oppositore principale, se non unico. Dinanzi all'avanzata della nuova Unione griffata Renzi, il Pdl-Forza Italia minaccia di sfarinarsi, Berlusconi è a un passo dagli arresti e gli altri due che avrebbero motivi per bloccarla, Giorgio Napolitano ed Enrico Letta, osservano inerti. Fiutata l'aria, il presidente del Senato, Grasso, si è subito adeguato. Da una fine rapida della legislatura, che sarebbe probabilmente accompagnata dalle dimissioni di Napolitano, lui potrebbe guadagnare nientemeno che la presidenza della Repubblica. Il suo nome, già girato nelle convulse giornate di marzo, al prossimo turno avrebbe ottime chance di tornare in voga. Sia perché, essendo oggi seconda carica dello Stato, sarebbe un candidato naturale per la prima. E poi perché è stato votato alla presidenza del Senato da una maggioranza Pd-Sel, alla quale si sono uniti alcuni voti grillini: la stessa coalizione che - con l'aggiunta di Scelta civica - ha strappato il regolamento per liquidare Berlusconi e adesso punta al voto per monopolizzare il prossimo Parlamento. Grasso, essendo il presidente, in giunta non ha votato, ma nei giorni precedenti aveva fatto sapere di preferire lo scrutinio palese, dando il via libera ufficiale all'operazione.  E dunque nel nuovo che avanza ci sono un Renzi premier, il Pd consegnato agli apparatchik  di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani, Grillo oppositore più o meno unico e un Pdl marginalizzato. E magari, appunto, Grasso al Quirinale, metafora perfetta di una politica che cede il passo alle toghe. Un quadretto ideale per Halloween, ma che fa molta più paura se immaginato al potere per i prossimi cinque o dieci anni. di Fausto Carioti  

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