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Pdl, il dossier dei falchi contro Alfano: "Ecco tutti i suoi errori"

Ecco il "rapporto" che ha convinto Berlusconi a "congelare" Angelino: "In vista della sfida sulla decadenza serve un solo leader, lui e la sua squadra troppo schiacciati su Letta"

Giulio Bucchi
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L'autore resta per il momento sconosciuto. C'è chi dice sia Denis Verdini, chi Daniele Capezzone, chi, addirittura, Daniela Santanchè. Altri sostengono che quello che è passato sulla scrivania di Silvio Berlusconi sia un lavoro collettivo dello staff più ristretto del Cavaliere, coloro che lo aiutano a scrivere i discorsi. I «lealisti» negano che sia roba loro. Certo le «23 ragioni» per cui «non è politicamente opportuno che Angelino Alfano sia segretario del Pdl/Forza Italia» devono essere state convincenti se il presidente Pdl nel corso dell'Ufficio di presidenza di giovedì ha snocciolato molte di esse ad alta voce. Lo hanno persuaso se alla fine ha deciso che la permanenza del vicepremier al vertice del partito non era più sostenibile. Tutte insieme le «ragioni» riempiono tre pagine: massimo cinque righe ciascuna. Nessun attacco personale, ma critiche circostanziate. Critiche che, dopo la frenata di ieri, potrebbero essere presto superate, se già non lo sono.  Il primo punto è quello chiave: «Alla vigilia del voto sulla decadenza è opportuno che il Pdl/Forza Italia abbia un solo soggetto apicale. Deve essere chiaro che è in gioco la decadenza del leader del centrodestra, e non di uno dei leader, o di un “presidente onorario”». Per questa ragione Alfano non poteva restare al suo posto.  Il secondo tratta del rapporto che bisognerà costruire d'ora in avanti col governo: «È politicamente opportuno attivare, esattamente come ha fatto il Pd, una sana dialettica tra partito e governo, con il partito chiamato a spingere, a stimolare, a proporre, e se necessario anche a criticare l'esecutivo. Se invece c'è una sovrapposizione totale questo schiacciamento produce una inevitabile subalternità, con relativa perdita di consenso», si può leggere. E così via.  Ci sono «ragioni» rilevanti, altre più scontate. Come l'ovvio - e necessario - impegno del ministro dell'Interno nel «ministero per eccellenza», «che richiede la permanenza 24 ore su 24». Quell'incarico tra l'altro «impedisce al segretario di organizzare e partecipare a manifestazioni pubbliche del Pdl/Fi» come già accaduto - si sottolinea malignamente al punto tre -   «a Brescia e nella manifestazione di agosto davanti Palazzo Grazioli».  Il documento dei “falchissimi” insiste molto sulla «concentrazione di potere in una sola persona: segretario del partito, vicepresidente del consiglio, ministro dell'Interno e capodelegazione di una squadra di ministri che fa interamente riferimento a lui». Il problema, rivelano gli autori, non è tanto il segretario uscente, ma il fatto che si sia costruito una sua squadra parallela: «I ministri rispondono solamente a lui». Questa circostanza è la stessa che il Cavaliere ribadisce ad ogni incontro: «Io ho scelto solo Angelino».  Alcuni punti sono un grido d'allarme: la permanenza del vicepremier alla guida del partito poteva aumentare la frattura tra fazioni piuttosto che sanarla. «Ciò consente alla compagine governativa di fungere da catalizzatore rispetto a una quota dei nostri gruppi parlamentari sensibile alle sirene ministeriali». E ancora: «Attraverso le leve ministeriali, sommate alle responsabilità di partito, è fatale che un pezzo del partito risponda a logiche separate Regione per Regione, Provincia per Provincia, Comune per Comune». Senza uno “stop and go” il Pdl sarebbe finito a pezzi. È questo il passaggio più critico: «Alfano ha agito di fatto da capocorrente, non per unire, ma per costruire un partito nel partito: attraverso una gestione mediatica volta ad accreditare solo i suoi amici, marginalizzando le altre sensibilità; attraverso la protezione offerta a tanti nel momento di redigere le liste; costruendo una sua rete personale divisa e alternativa rispetto al resto del partito».  Nei tre fogli scritti per chiedere l'azzeramento delle cariche tra le «buone ragioni» si citano «autentici disastri elettorali in tutte le tornate in cui il presidente Berlusconi non è sceso direttamente in campo» e «lo spettacolo impressionante di una valanga di messaggi di protesta di elettori che non si fidano più nelle pagine di Alfano e degli altri ministri sui social network». Si cita anche il fatto che il vicepremier non abbia mai smentito di avere «chiesto la testa» di alcuni dirigenti politici e, addirittura, del direttore di un giornale. Alfano e i ministri sono accusati di avere attuato addirittura «un rigido controllo di chi va in tv per conto del partito», promosso la «de-berlusconizzazione». E così via.  La «ragione» numero venti descrive un futuro possibile che, per fortuna di tutti, sembra non essersi realizzato: «Al di là delle dichiarazioni di circostanza, Alfano e i suoi hanno intrapreso la strada di una mini-aggregazione centrista. La stessa possibile convergenza con quel che resta di Scelta Civica prefigura un contenitore post-berlusconiano, e non certo un supporto a Silvio Berlusconi. Al di là di ogni altra considerazione, ciò non piace agli elettori berlusconiani, che da sempre sono stati abituati ad un chiaro bipolarismo e a una netta alternativa alla sinistra». Meglio fermare tutto, allora. Come poi il Cavaliere ha fatto. Per ricostruire da zero.  di Paolo Emilio Russo  

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