Luigi Di Maio, rivolta nel M5s. "Restiamo compatti" ma intanto minaccia le purghe
Luigi Di Maio non li tiene più. Allora dai tentativi di persuasione, deve passare alle minacce. Chi contesta la leadership del Movimento va fuori dalle balle. Espulsione. Il Movimento 5 Stelle si ritrova nella stessa situazione della scorsa legislatura. Eppure stavolta erano state prese tutte le precauzioni per evitare il dissenso interno. Dalla scelta accurata del personale politico, non a casaccio come nel 2013, ma con criteri di selezione scientifici. Fino alla imposizione di contratti di diritto privato che prevedevano penali per gli eretici. Leggi anche: "Forconi", la senatrice grillina guida la rivolta contro Di Maio Invece: ora che l' azione del governo entra nel vivo, adesso che vanno prese delle decisioni importanti, i pentastellati si spaccano in due. Perché due sono le anime del movimento, poco compatibili l' una con l' altra. C' è una destra, guidata dal ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, che siede senza particolari fastidi al governo con la Lega. Ma c' è una sinistra, che fa riferimento al presidente della Camera Roberto Fico, in preda a quotidiani conati di vomito. Tenerle unite con le buone è impossibile. Allora Di Maio ricorre alle maniere forti. In ballo c' è il decreto sicurezza, il condono, la Tap, la Tav. Troppi fronti aperti per permettersi di subire il fuoco amico. Così Giggino militarizza i gruppi parlamentari: «Dobbiamo essere compatti. Molto compatti», scrive sul Blog il vicepremier, «oggi nel nostro esercito alcuni stanno dando segni di cedimento e visto che tra di noi siamo in famiglia è bene che queste cose ce le diciamo. Questi cedimenti non ce li possiamo permettere». SENATO IN RIVOLTA - Il riferimento è al Senato, dove la fronda interna si è rifiutata fino all' ultimo di ritirare gli emendamenti non condivisi al decreto sicurezza. Ma anche al decreto fiscale, che altri "rivoltosi" minacciano di non votare. Mica i peones: è stata la presidente della Commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco, a sostenere che il dl fiscale è contrario ai valori dei Cinquestelle. Il fatto, insomma, è serio. Il problema è che questa spaccatura indebolisce il M5S anche nell' interlocuzione con la Lega, dove invece vige la monarchia assoluta. Quel modello Di Maio può solo sognarselo: «Ogni singolo problema va affrontato e anche le sensibilità di ognuno hanno un grande valore», premette il vice premier, «ma mai al punto di mettere in discussione il supremo bene collettivo di tutti i cittadini». NIENTE LIBERI PENSATORI - Chi, nel Movimento, si crede un libero pensatore o l' interprete dell' ortodossia più pura, deve scendere dalle nuvole: «Siamo tutti portavoce della volontà dei cittadini che hanno votato un programma e un contratto di governo. Qualsiasi altro comportamento non è da MoVimento 5 Stelle e non sarà assecondato». I dissidenti, però, non mollano la presa, a testimonianza del fatto che Di Maio ha difficoltà a maneggiare il bastone del comando. Paola Nugnes ribadisce la sua contrarietà al decreto sicurezza. Se resta così, come lo ha immaginato Salvini, non lo voterà. Neanche nel caso in cui fosse posta la questione di fiducia. «Il Parlamento», dice all' Adnkronos, «non può essere considerato responsabile della stabilità del governo che è tenuto a trovare al suo interno i necessari e doverosi punti di sintesi su provvedimenti, come quello immigrazione e sicurezza, che sono di una gravità inusitata e con conseguenze gravi, misurabili e certe per il nostro Paese». Lo zenit è il programma di governo, sostiene la senatrice, e se Di Maio chiede agli eletti grillini di votare cose diverse dagli «impegni presi in campagna elettorale», il problema è il suo. NUMERI A RISCHIO - Anche Elena Fattori e Gregorio De Falco sono pronti a votare la sfiducia al governo. Al gruppo si unisce anche Matteo Mantero. Ciò mette a rischio i numeri della maggioranza a Palazzo Madama. La coalizione gialloverde ha sei voti di vantaggio. I dissidenti grillini in totale sono quattro. «Vediamo», dice l' anti-Schettino. Il codice etico del Movimento obbliga a votare per l' esecutivo, ma De Falco rivendica il suo mandato popolare: lui risponde ai cittadini, non a Di Maio e Casaleggio, «non temo sanzioni». Il capo politico vuole i senatori schierati «a testuggine»? «Ma noi non siamo un esercito», replica. Pure Fattori sfida i suoi capi: «Mi devono sfilare con la forza dal Movimento, io sono Cinquestelle». Alla fine i senatori dissidenti ritirano l' emendamento all' articolo 14 del decreto sicurezza, quello che prevede la revoca della cittadinanza agli immigrati in casi di condanne definitive per reati di terrorismo. Ma non è una resa, la loro. «Immaginate», ha dichiarato Nugnes, «come avremmo reagito se questo provvedimento lo avessimo dovuto subire come opposizione. Noi abbiamo un programma bellissimo sull' immigrazione, che è stata una bandiera durante la campagna elettorale. Bisogna rispondere agli elettori a cui abbiamo chiesto il voto». LA CONTROPARTITA - Stare al governo, però, vuole dire fare compromessi. E se i grillini sono costretti ad accettare il gasdotto Tap in Puglia, con i loro elettori che bruciano la bandiera pentastellata in piazza, adesso sono pronti a fare le barricate sulla Tav. A costo di andare allo scontro con la Lega, che invece è favorevole alla infrastruttura. Il consiglio comunale di Torino ha approvato un ordine del giorno del M5S che esprime contrarietà sulla nuova rete ferroviaria. Di Maio ha applaudito: «Presto io e Danilo Toninelli incontreremo Chiara Appendino per continuare a dare attuazione al contratto di governo». Secondo il Carroccio, però, in quel documento non è previsto il blocco dell' opera: «La Lega è da sempre, e continua ad essere, a favore della Tav. L' ordine del giorno è una fuga in avanti del Movimento 5 Stelle, una presa di posizione ideologica e inutile», dice il capogruppo del Lega in Consiglio comunale a Torino Fabrizio Ricca. di Salvatore Dama