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Berlusconi furioso coi 24 ribelli: "Indebolito nel momento peggiore"

Silvio alla resa dei conti: visto da Benny

Andrea Tempestini
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Nel pomeriggio di lunedì un nuovo fulmine sul Pdl. Si ripropone lo scontro tra falchi e colombe, tra lealisti e alfaniani. All'attacco i secondi: 24 colombe firmano un documento condiviso. "Basta attacchi al governo e alla manovra". Un diktat, che nemmeno Silvio Berlusconi ha apprezzato. Anzi, lo ha proprio infastidito: "Mi indeboliscono nel momento peggiore", ha detto ai suoi. Dietro le quinte continuano a muoversi Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello, secondo i quali il Cavaliere mira alla crisi di governo in concomitanza con la decadenza. Ed è in questo contesto che tornarno a farsi sentire i venti di scissione: le colombe meditano di creare una formazione centrista con Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro. Segue l'articolo di Salvatore Dama. Silvio Berlusconi ha deciso: per ricompattare il partito serve un incontro «corale», un «confronto» tra tutti. Non sono più sufficienti i tavoli separati con alfaniani e lealisti tenuti aperti fino ad oggi. Per questa ragione il Cavaliere, che resterà ad Arcore fino almeno a metà settimana, è determinato a convocare un ufficio di presidenza del Pdl. Sarà lì dentro che Angelino Alfano, Raffaele Fitto e le rispettive truppe potranno contarsi per la prima volta. Ma non accadrà presto: difficilmente prima di un mese.  Con quel passaggio, avviando la transizione verso il nuovo partito, l'ex premier intende realizzare quell'azzeramento degli incarichi che i «lealisti» gli chiedono da tempo e che si è impegnato con loro a promuovere. Non si fida più, come non si fida di Enrico Letta, che ancora ieri sera ha parlato di lui come di un «politico finito», nè delle promesse di Pier Ferdinando Casini e delle sirene centriste. Ma il vicepremier e gli altri ministri, forse consci della situazione, non intendono mollare. «Ti devo chiedere un sacrificio», aveva chiesto l'ex premier al suo delfino giovedì scorso.  Alfano e i suoi intendono resistere fino all'ultimo e, anzi, stanno rinserrando le loro truppe, incassando anche qualche successo. A precipitare nuovamente lo scontro tra le due anime è stata un'intervista rilasciata ieri da Gaetano Quagliariello: «Da mercoledì 2 ottobre, giorno della fiducia a Letta, non si torna indietro. Se qualcuno puntasse di nuovo alla crisi, si ritroverebbe gli stessi numeri a favore dell'esecutivo. Anzi: forse anche qualcuno di più». In parole povere: attenti, chi minaccia la crisi, in realtà, non può farla. L'altolà del ministro delle Riforme ha scatenato le ire dei «lealisti» ed è sembrato un modo per costringere il Cavaliere a stare calmo con la forza dei numeri.  Il sospetto è diventata certezza quando in serata, mentre il Cavaliere se ne stava chiuso ad Arcore con i figli, è spuntato un documento firmato da 24 senatori, due in più del 2 ottobre, col quale, oltre a riconfermare la fiducia al governo ed esprimere solidarietà al ministro, gli eletti sostengono che «non è più possibile tollerare la critica distruttiva e permanente al governo»  e che «il confronto nel  gruppo e nel partito deve riacquistare correttezza», pena la scissione. I firmatari sono gli stessi di un mese fa e, tra di essi, Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Carlo Giovanardi, Andrea Augello.  Più che il contenuto, a far rizzare i capelli all'ex premier sono i numeri, che dimostrano che gli alfaniani stanno facendo sul serio, coltivano il loro gruppo, sono pronti allo strappo. E non si curano di dimostrare che le minacce di  Berlusconi contro Letta sono un'arma spuntata. «Questo modo di fare indebolisce la mia leadership, mi mette in difficoltà proprio nel momento in cui avrei bisogno di avere tutti accanto», si è sfogato al telefono il Cavaliere con un fedelissimo. Trattativa saltata. Proprio in mattinata, infatti, l'ex premier aveva mandato i capigruppo a chiedere al Pd di ripensare la sua posizione sulla retroattività della Legge Severino coinvolgendo il governo: «Se volessero, potrebbero intervenire in mezzora e risolvere la questione», aveva detto Sandro Bondi. Ma niente. Ora è chiaro a tutti che il governo può vivere anche con Berlusconi decaduto. Ed è toccato sempre a Bondi prendersela con i colleghi senatori  “ribelli”:  «Non dubito che il segretario e il capogruppo Renato Schifani (considerato vicino al segretario, ndr.) vorranno stigmatizzare la dichiarazione resa pubblica a nome di 24 senatori del Pdl, fatto già di per se gravissimo in quanto espressione di una corrente organizzata». Ma, ovviamente, nessuno ha stigmatizzato nulla. E la battaglia si è già spostata sui numeri. di Salvatore Dama

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