Crisi, il voto al SenatoTutti i numeri
Una notte con il pallottoliere. A far di conto. Come nelle migliori tradizioni di Palazzo Madama. Ma a Palazzo Chigi hanno ben chiara la strada da seguire per centrare l'obiettivo della sopravvivenza del governo: far sì che i voti necessari per superare la fatidica soglia dei 161 seggi - quelli che assicurerebbero la conquista della maggioranza assoluta dell'assemblea - provengano dal Pdl/Forza Italia. Niente svolta a sinistra, dove pure potrebbe pescare Enrico Letta per sostituire i 101 senatori di Pdl e Gal (gli autonomisti di centrodestra) che sulla carta dovrebbero voltare le spalle all'esecutivo dopo lo strappo di Berlusconi. Sulla carta. Perché nelle ultime ore, complice l'attivismo dell'ala governativa del Pdl, l'ipotesi di una scissione, più o meno indolore, dal Cavaliere da parte delle colombe ha preso piede. Aprendo prospettive favorevoli a Letta. SEGUI LA DIRETTA DAL SENATO SU LIBERO TV Da 30 a 50 dissidenti Prima della rottura annunciata da Berlusconi, la maggioranza Pd-Pdl-Scelta civica poteva contare su 238 voti: 107 democratici (Grasso, il presidente del Senato, per prassi non vota); 10 autonomisti; 20 centristi, 10 autonomisti di centrodestra (Gal) e, appunto, 91 del Pdl. Senza l'alleanza Pdl-Gal, a Letta verrebbero a mancare 101 senatori. Facendo scendere a 137 la base di partenza per la conquista di una nuova maggioranza. Ossia 24 in meno. Il premier, tuttavia, ha più volte sostenuto che non si accontenterebbe di restare in sella per una manciata di voti. Dal voto di oggi, infatti, punta a ottenere un segnale politico per ripartire. Scomponendo il Pdl. Nel corso della giornata, il numero dei senatori pidiellini che oggi sarebbero disposti a votare la fiducia a Letta nonostante la contrarietà di Berlusconi è cresciuto di ora in ora. Prima 15, poi 25. Quindici sono quelli certi. Fino ad arrivare in tarda serata, a detta dei ribelli, a superare il numero di 50. Numeri improbabili, a detta dei falchi del Pdl. Fatto sta che il nodo, ormai, è solo sulla quantità dei senatori pronti a votare in modo difforme dal gruppo. Sarebbe anche pronto, addirittura, il nome del nuovo gruppo parlamentare da costituire a Palazzo Madama (bastano dieci senatori): Nuova Italia. Al momento sono 15 quelli che certamente stanno con Alfano, 55 con Berlusconi e una ventina in bilico. Se i dissidenti pidiellini fossero effettivamente una cinquantina, Letta potrebbe dormire sonni tranquilli. La nuova maggioranza, infatti, raggiungerebbe quota 187 seggi. Ovvero 26 in più rispetto alla soglia minima. A quel punto i numeri, come ha detto nel corso della giornata di ieri uno dei registi della rivolta, Carlo Giovanardi, «sarebbero un problema degli altri». I falchi del Pdl. Il quadro cambierebbe se i dissidenti fossero, come ammettono dal campo berlusconiano, 35-40. In quel caso i voti della nuova maggioranza oscillerebbero tra 172 e 177. Rispettivamente 11 e 16 voti in più rispetto al margine di sicurezza. Consensi ai quali eventualmente aggiungere, secondo i calcoli che girano a Palazzo Chigi, i quattro ex senatori grillini ora al gruppo misto, e i quattro nuovi senatori a vita nominati da Giorgio Napolitano. Ma solo, è stato il diktat di Letta, per puntellare ulteriormente la maggioranza. Non certo come punto di partenza. La tabella di marcia A favore del voto al governo, oltre ai ministri e a Giovanardi, si sono via via espressi, tra gli altri, i senatori Andrea Augello («siamo in molti nel partito a lavorare per una fiducia unitaria»), Roberto Formigoni a nome dell'ala cattolica («pronto a votare la fiducia, anche Berlusconi sta riflettendo»), il siciliano Salvatore Torrisi («Berlusconi ha fatto una scelta dannosa per il Paese») e Luigi Compagna. Il calendario messo a punto da Palazzo Madama prevede per le 9,30 di stamattina l'inizio delle «comunicazioni all'assemblea» da parte del presidente del Consiglio. «Per il conseguente dibattito», ha spiegato Pietro Grasso, presidente del Senato, «si è proceduto alla ripartizione dei tempi tra i gruppi per due ore e trenta minuti. Seguiranno quindi, con trasmissione in diretta televisiva, la replica del presidente del Consiglio dei ministri e le eventuali dichiarazioni di voto» qualora l'esecutivo decidesse di porre, come appare probabile, la fiducia. Uno sbocco, quello del voto, confermato ieri pomeriggio da Dario Franceschini, ministro dei Rapporti con il Parlamento: «Il governo, che è formalmente nella pienezza dei suoi poteri, porrà comunque la questione di fiducia in modo che ogni scelta avvenga in Parlamento, alla luce del sole, senza ambiguità e ipocrisie e senza alcuna trattative». A scanso di equivoci, il M5s ha preannunciato la presentazione di una mozione di sfiducia all'esecutivo. L'esito del voto è atteso nella tarda mattinata. Dopo l'attenzione si sposterà sull'Aula di Montecitorio, dove però i numeri, grazia al premio di maggioranza, sono in ogni caso favorevoli ai sostenitori dell'esecutivo. Tommaso Montesano