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Giornalisti, sveglia: Berlusconi mica parla con noi...

Filippo Facci visto da Vasinca

Quei commenti ironici e velenosi che seguirono il video del '94 dimostrano che molti di noi non capiscono niente

Andrea Tempestini
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Uh, il videomessaggio di Berlusconi, che ridere. Questo oggi. Ma non è che il Berlusconi del 1994, quanto a consensi, fosse messo meglio di oggi. Anzi. I primi sondaggi del Cirm di Nicola Piepoli, enfatizzati dal Tg3, davano Forza Italia al 6 per cento. E la prima celebre videocassetta spedita ai telegiornali il 26 febbraio 1994 («L'Italia è il paese che amo») fu trasmessa solo dal Tg4 di Emilio Fede e da Studio Aperto di Paolo Liguori. Il Tg3 la troncò subito e chiamò a ridicolizzarla il verde Mauro Paissan: «Per la sinistra, Berlusconi in politica è un vantaggio». Sul Tg1, Achille Occhetto parlò di discorso «risibile». Su Telemontecarlo, Sandro Curzi oppose un editoriale quasi di scherno. Eugenio Scalfari, sulla Repubblica, scrisse l'editoriale «Scende in campo il ragazzo coccodè». Curzio Maltese, sulla Stampa, scrisse che «Ricorda il profeta di Aiazzone, i toni sono da quarta elementare». Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, scrisse che «Ha il sapore finto della plastica e la cadenza rigida della clonazione». Che cosa vogliamo dire, con questo? Niente, nel senso che noi giornalisti è meglio che non diciamo più niente, perché dimentichiamo sempre una cosa: Berlusconi non parla con noi, non gliene frega niente di piacere a noi. E infatti. Tantoché il più delle volte, ogni volta che non capivamo Berlusconi, non capivamo il Paese. di Filippo Facci @FilippoFacci1

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