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Pensioni, Renzi studia una batosta da 12 miliardi

Matteo Renzi

Il rottamatore punta alle pensioni d'oro, ma a essere toccati sarebbero anche gli assegni di poco superiori a duemila euro

Matteo Legnani
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Togliere qualcosa alle pensioni d'oro per dare qualcosa ai giovani senza lavoro. Messa così, l'idea potrebbe anche passare. Soprattutto se si considera che in Italia la disoccupazione giovanile sfiora il 40% e l'Inps emette ogni mese circa 300 assegni previdenziali da oltre 24mila euro lordi. Ma la proposta a cui sta lavorando il sindaco Matteo Renzi, futura promessa del Pd e del fantasmagorico rinnovamento dell'Italia, è qualcosa di ben diverso. Il piano era già circolato nei mesi scorsi e di tanto in tanto la giovane promessa del Partito democratico lo risfodera zoppicando un po' sui numeri. L'obiettivo dichiarato è quello di colpire le super pensioni. Il risultato sarà quello di una stangata per oltre 500mila italiani che colpirà anche chi riscuote ogni mese poco più di 2mila euro netti. Intervistato mercoledì sera da Bruno Vespa nel corso di Porta a Porta il sindaco di Firenze ha sparato una cifra di 12 miliardi, secondo lui recuperabile complessivamente aggredendo le pensioni d'oro. Somma spropositata che deriva probabilmente dall'interpretazione estensiva di un progetto che aveva come obiettivo il recupero di 3-4 miliardi. Il piano che ha in testa Renzi per recuperare risorse da destinare all'abbattimento del cuneo fiscale per i neoassunti (altre dovrebbero arrivare da un non meglio specificato blocco della Cassa integrazione per le imprese moribonde) è stato più volte declinato dal suo consigliere economico, il deputato del Pd Yoram Gutgeld. Nel mirino ci sarebbero non le maxi pensioni, ma gli assegni sopra i 3.500 euro lordi. Prendendo le tabelle dell'Inps emerge che la platea coinvolta dalla nuova patrimoniale, prendendo in esame le erogazioni mensili da 3.367 euro in su, sarebbe di circa 500mila unità (Gutgeld parla di 450mila) su un totale di circa 16,5 milioni. Un piccolo esercito di pensionati il cui costo complessivo per lo Stato ammonta a circa 32 miliardi. Spremendo questo bottino Renzi conta di recuperare 4 (o 12?) miliardi. In che modo? Il meccanismo è semplice. Per 3,2-3,3 miliardi si tratterebbe di far calare una mannaia, sotto forma di contributo di solidarietà, del 10% su tutti i trattamenti previdenziali in questione. Per il restante, le risorse dovrebbero essere recuperate mediante una ulteriore stretta dell'aliquota di perequazione, ovvero di quella percentuale applicata ogni anno alla pensione per adeguarla al costo della vita.  Da ricordare che sulla rivalutazione il governo è già intervenuto con la manovre anticrisi degli anni scorsi, bloccando l'adeguamento per tutti gli assegni al di sopra dei 1.443 euro (tre volte la minima, secondo il valore fissato per il 2013). E, al di là dei progetti di Renzi, l'esecutivo guidato da Enrico Letta sta già pensando di trasformare il congelamento della perequazione attivo anche per il 2014 in un azzeramento permanente. La tesi politica di Renzi-Gutgeld è che l'architettura della previdenza italiana dopo la riforma Fornero poggia ormai interamente sul sistema contributivo. Il che, a loro giudizio, renderebbe legittimo considerare i vecchi e generosi trattamenti calcolati col retributivo qualcosa di immorale. Una sorta di ingiusto extraprofitto. «Chi va in pensione con il contributivo», spiega Gutgeld, «prende in relazione a quanto versato e questo, secondo noi, non deve essere toccato. Ma chi oggi è in pensione con il retributivo e prende tra 1.500 e 2000 euro, con il contributivo avrebbe preso il 20% in meno. Chi con lo stesso sistema prende 3.500-4000 euro, con il contributivo avrebbe preso la metà». Qui, insomma, si può sforbiciare senza pietà. Anche togliendo una fetta del 30%, che è quello che servirebbe per arrivare alla cifra snocciolata da Renzi. Il bello è che sia la prima parte della proposta sia la seconda sono impraticabili per motivi costituzionali. Sul blocco della perequazione la Consulta non è ancora intervenuta formalmente, ma in una sentenza del 2010, commentando gli stop già applicati nel 2008 e nel 2009, aveva spiegato che «la frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo esporrebbe il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità». Sul contributo di solidarietà la bocciatura è invece arrivata piena e netta lo scorso giugno, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il prelievo che i governi Berlusconi e Monti hanno applicato sulle pensioni al di sopra dei 90mila euro lordi l'anno. di Sandro Iacometti

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