Cerca
Cerca
+

Berlusconi, il piano di Napolitano: salvare il Cav "grazie" ai giudici

Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi

Giulio Bucchi
  • a
  • a
  • a

Il primo scossone l'ha già preso al primo momento utile, e altri ne seguiranno. L'impalcatura progettata dal Quirinale per mettere in sicurezza la legislatura mediante la sottrazione di Silvio Berlusconi al plotone d'esecuzione della giunta di Palazzo Madama è stata pensata per reggere un mese abbondante. La scommessa è che resista allo sciame sismico che da qui ad allora le si scatenerà intorno. In cosa consista l'impalcatura è presto detto: consiste nel fare in modo che la giunta non vada di fretta e che non si arrivi al voto sulla decadenza del Cavaliere in tempi troppo compressi. La linea emersa martedì sera, con le pregiudiziali che diventano preliminari e col voto sulle medesime che conseguentemente slitta, andava in questo esplicito senso e a molti era sembrata costituire il primo pilone dell'impalcatura in questione (esplicito il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta, secondo cui «qualcuno ha frenato il Pd, penso sia stato il Colle più alto»). Al centro di tutto c'è il calendario. Dove la proverbiale data cerchiata di rosso è quella del 19 ottobre. In quel giorno, infatti, in Corte d'Appello a Milano inizierà l'iter del ricalcolo dell'interdizione dai pubblici uffici (la sentenza di Cassazione del processo Mediaset, come si ricorderà, aveva confermato la pena principale rinviando in Appello la quantificazione di quella accessoria). La pronuncia dei giudici potrebbe arrivare a giro strettissimo, forse già lo stesso giorno (se la difesa ricorresse in Cassazione, la parola definitiva arriverebbe però a dicembre). E perché l'impalcatura regga, è fondamentale arrivare a quel momento senza che il Parlamento abbia già preso una decisione sul destino di Berlusconi. Con la sentenza dei giudici sul tavolo, infatti, la partita cambierà radicalmente natura. Quello che fino al giorno prima sarà stato un caso eminentemente politico (l'applicazione della legge Severino, i ricorsi, le maggioranze variabili eccetera) diventerà d'un tratto un passaggio poco più che notarile, col Parlamento chiamato a ratificare una decisione della magistratura. In quel caso i margini per ulteriori politicizzazioni della vicenda si azzererebbero ed il clima generale non potrebbe che risentirne positivamente. Quadro cambiato e cambiato pertanto anche lo scenario su cui andrebbe ad impattare una eventuale decisione quirinalizia in materia di clemenza. Una grazia (o commutazione della pena) che arrivasse nel pieno della fase pre-ricalcolo avrebbe infatti costi politici insostenibili: leggerla come un affronto bello e buono al Parlamento (segnatamente al partito che in Parlamento più si batte in direzione contraria, cioè quel Pd di cui Napolitano è e resta massimo esponente) verrebbe spontaneo, l'opinione pubblica debitamente motivata dal circo mediatico-giudiziario insorgerebbe ed il saldo dell'operazione risulterebbe non certo positivo. Ben diverso il caso in cui la mossa del Colle dovesse invece arrivare a ricalcolo avvenuto. A quel punto Napolitano si troverebbe ad intervenire su una situazione in cui i partiti sono stati marginalizzati quanto possibile, da parte di Berlusconi è già arrivato il gesto di resipiscienza mediante accettazione della sentenza (l'esecuzione della pena principale sarebbe già in corso da quattro giorni) e la questione è un affare interno al potere giudiziario: la grazia sarebbe vista come gesto ostile nei confronti non già del Parlamento ma semmai della magistratura (del cui Consiglio superiore, giova ricordare, il capo dello Stato è presidente). La riuscita del progetto, come detto, dipende dai tempi. E i tempi dipendono dalla volontà politica. Modi per non trasformare la giunta di Palazzo Madama in una gara di velocità ce ne sono (tra cui un codicillo nel regolamento di cui dà notizia l'Huffington post che in caso di decisione non definitiva da parte della giunta obbligherebbe a ripartire dalla procedura per la seduta pubblica), basta volerli applicare. Le parole del senatore democrat Enrico Buemi (il Pd subisce «diktat che provengono dall'esterno, e non dal centrodestra») lo dimostrano chiaramente. A sinistra in molti vedono il piano del Quirinale come il fumo negli occhi, e sono già al lavoro per scongiurarne la riuscita. L'assalto all'impalcatura progettata da Napolitano è solo all'inizio. di Marco Gorra

Dai blog