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Telefonata di Re Giorgio:ha fermato Berlusconie salvato il governo

Enrico Letta e Giorgio Napolitano

Andrea Tempestini
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Il governo nato dalla testa di Giorgio Napolitano forse ieri ha scampato la morte grazie allo stesso Capo dello Stato. Forse. Perché la tregua tra Pd e Pdl imposta dal Colle è fragilissima e basta un nonnulla a romperla. In questo caso il presidente della Repubblica non esclude di dimettersi in diretta televisiva, indicando per nome e cognome i colpevoli della crisi (e dell'aumento dello spread e di tutte le altre iatture che ne deriverebbero). Un terremoto istituzionale, che pure lo stesso Napolitano ha evocato in termini molto chiari ai propri interlocutori.  Il Capo dello Stato, dopo averne discusso con Enrico Letta, ha trascorso infatti la giornata al telefono per difendere la propria creatura. In gergo istituzionale si chiama moral suasion: tradotto in italiano, significa che Napolitano, munito di bastone e carota (tanto bastone, poca carota), ha chiamato chi rischiava di far saltare tutto, concentrando quindi la propria attenzione sul segretario Guglielmo Epifani, sul capogruppo al Senato Luigi Zanda e sul resto dei “duri” dello stato maggiore del Pd. A costoro ha chiesto di evitare gesti irreparabili il cui prezzo sarebbe stato pagato da tutto il Paese e ha fatto presente che i responsabili non l'avrebbero fatta franca. Ragionamento ovviamente rivolto pure al Pdl e la cui eco, debitamente smorzata, si è colta anche nelle parole pronunciate dallo stesso presidente della Repubblica durante l'incontro con la delegazione del comune di Barletta per il settantesimo anniversario della ribellione all'occupazione nazista: «Se noi non teniamo fermi e consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale, tutto è a rischio».  Un tentativo estremo e disperato, quello attuato da Napolitano, che però qualcosina ha prodotto. Non certo il disarmo bilaterale, impossibile da ottenere adesso, ma uno stop momentaneo alla corsa agli armamenti: viste le disastrose premesse, comunque un mezzo miracolo. Incalzati dal Quirinale, i dirigenti del Pd hanno digerito l'idea di non votare  la decadenza di Silvio Berlusconi durante la riunione della Giunta che si è tenuta ieri notte, accettando di fatto di allungare i tempi all'incirca di una settimana (altra cosa, va da sé, è far subire simili logiche a personaggi come i senatori del Pd Felice Casson e Stefania Pezzopane, ambedue membri della Giunta). Mentre il Pdl ha accantonato, almeno per il momento, ogni ipotesi aventiniana. La tregua è diventata ufficiale in serata, quando Silvio Berlusconi ha rimandato a data da destinarsi la riunione dei gruppi parlamentari prevista per oggi all'ora di pranzo, che era stata messa in agenda proprio per sancire la rottura col Pd e annunciare le dimissioni dei ministri e sottosegretari azzurri dal governo Letta. Così, poco dopo le 20.30, la fatidica Giunta ha potuto riunirsi in un clima svelenito di quel poco che bastava per evitare lo scoppio del conflitto e rendere possibile uno slittamento delle votazioni. I problemi restano comunque tutti sul tavolo. Il Pd smania per sbarazzarsi in modo definitivo di Berlusconi. I delicatissimi accordi raggiunti nelle complesse triangolazioni tra il Quirinale, le colombe del Pd e quelle del Pdl diventano ingestibili una volta che la questione passa nelle mani della Giunta, dove ai senatori democratici non interessa nulla della sopravvivenza del governo (anzi, lo farebbero affondare volentieri, ovviamente dandone la colpa al Pdl). La partita interna al Pd consiglia a Epifani, Pier Luigi Bersani, Massimo D'Alema e gli altri rivali di Matteo Renzi di accelerare lo scioglimento delle Camere per arrivare al voto se possibile già in autunno (in piena sintonia con i berluscones più oltranzisti). In questo modo, infatti, Renzi - ritenuto garanzia di vittoria - sarebbe il candidato premier, ma le liste elettorali le farebbe il partito, che rimarrebbe in mano alla vecchia nomenclatura. Il poco tempo guadagnato grazie all'intervento del Colle, insomma, deve essere usato per rimuovere o almeno depotenziare questi ordigni, altrimenti l'ultimo sforzo non sarà servito a niente. Come dice un ministro pidiellino, «la tregua apparente di Napolitano deve tradursi ora in una dilazione credibile dei tempi». Significa che il mezzo miracolo di ieri è poca cosa, il difficile viene adesso. Napolitano ha sette giorni per inventarsi il miracolo intero. di Fausto Carioti

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