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Pd, Orfini avvisa Renzi: "Non puoi fare la rivoluzione con Veltroni e Fassino. Sei finito"

Il "Giovane Turco" a Libero: "Matteo si sta riempiendo di riciclati, ma il loro sarà un abbraccio mortale"

Giulio Bucchi
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«Renzi è passato dalla rottamazione al riciclo». Con una battuta Matteo Orfini commenta i recenti endorsement di ex bersaninani al sindaco di Firenze. Insieme a Fassina, Orlando e altri dirigenti ha costituito l'ossatura di sinistra della segreteria di Bersani e si è  opposto durante le primarie alla svolta «a destra» che Matteo Renzi voleva imporre al partito. Nella battaglia congressuale, con l'associazione Rifare l'Italia, tiene in vita il fronte antirenziano e appoggia la candidatura di  Cuperlo.  Dopo il sostegno di Veltroni, Bassolino, Fioroni e Franceschini è rimasto solo lei contro Renzi? «Per fortuna non sono l'unico. C'è un gruppo di persone che sta lavorando ad una seria proposta alternativa». Già all'indomani delle elezioni, in un'intervista a «Libero», riferendosi alle dichiarazioni di Franceschini e altri dirigenti parlò di «opportunismo inqualificabile». Ora si è arrivati alla conclusione di quei riposizionamenti? «I cambi di posizione in vista del congresso dimostrano ancora una volta i limiti del patto di sindacato della segreteria di Bersani, l'idea che si potesse governare il Pd con un patto di potere, prescindendo dalla politica. Parla del patto con cui Franceschini  entrò in maggioranza dopo la sconfitta alle primarie?  «L'allegria con cui si passa da veltroniani a bersaniani a renziani senza provare a giustificare i propri cambiamenti è un male storico del Pd. E questa ipocrisia è un problema per chi si candida a cambiarlo: non si può pensare di rivoluzionare il partito con Veltroni, Franceschini, Bettini e Fassino». Stanno saltando sul camper del vincitore? «È il tentativo di abbracciare colui che è ritenuto il vincitore, esito che noi cercheremo di evitare. Ormai sono passate molte ore da questi endorsement e  Renzi non ne ha rifiutato nessuno. Il problema è che il meccanismo si moltiplica nei territori, con l'adesione di persone che sono l'opposto della rivoluzione di cui parla Renzi». Renzi non ha detto   che avranno un peso nella sua segreteria. «Non ha detto nemmeno il contrario. L'abbraccio mortale lo sta portando sempre più verso un patto di oligarchi. Ormai sembra un iscritto ad Areadem (la corrente di Franceschini  ndr). Doveva cambiare il partito, ma forse è il partito che ha cambiato lui. Non parla più di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, nè di riforma del lavoro, nè attacca il sindacato. È venuto sulle vostre posizioni? «C'è un'evoluzione programmatica positiva. Lascia la destra e si sta ponendo nell'alveo della sinistra europea, credo ancora in un modo superficiale e insufficiente. Ciò comunque permette di fare un congresso nell'ambito di un'elaborazione simile sulle grandi questioni». Per voi la segreteria Bersani è stata un'occasione persa, ora  il partito sembra andare verso posizioni più moderate. «Se abbiamo fallito così clamorosamente ci sono stati degli errori, non abbiamo costruito il partito che volevamo. Però non penso che ci sia uno slittamento moderato: Renzi ha avuto un'evoluzione rispetto alla linea Zingales-Ichino. Sia Letta che Renzi non si rifanno più alla lettera della Bce e anche loro oggi sostengono che l'austerità è un disastro. Erano posizioni che abbiamo sostenuto isolati un anno e mezzo fa, possiamo dire che sui contenuti abbiamo vinto. Siamo stati  egemonici. Sul rinnovamento mi sembra invece che Renzi abbia fatto un passo indietro». Il rischio è che dal congresso possa uscire un Pd sempre uguale a sè stesso? «Dal confronto tra  idee e  proposte differenti uscirà un partito rinnovato. Ma perché ciò accada è necessario che ci sia chiarezza sui comportamenti: non si possono premiare opportunismo e  derive trasformiste. Altrimenti portiamo nel nuovo partito tutti i vizi e i difetti del vecchio Pd. di Luciano Capone

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