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Decadenza, Silvio guadagna due mesi

Silvio Berlusconi in aula al processo Ruby

Lucia Esposito
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La cosiddetta pena accessoria: ossia la condanna di Silvio Berlusconi, in primo e in secondo grado, alla interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. È solo relativamente a questa parte, che il processo sui diritti tv Mediaset, deve continuare. Ed è pronto a ripartire. Ieri pomeriggio sono stati aperti i plichi partiti da Roma e arrivati alla cancelleria centrale della corte d'Appello di Milano, contenenti le motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso primo agosto dai giudici di Cassazione. Sentenza, che per quanto riguarda la pena dell'interdizione del leader del Pdl, si è conclusa con un rinvio ad altri  giudici di Appello affinché ricalcolino con esattezza il computo totale della pena. Per i reati tributari, come quelli contestati al Cavaliere, la legge del 2000 prevede infatti che l'interdizione invece che di cinque anni debba andare da un minimo d un anno a un massimo di tre. Nei prossimi giorni il Tribunale assegnerà a una sezione della corte d'Appello: probabilmente la terza presieduta da Antonio Soprano, il cosiddetto appello bis. Quindi il presidente nominerà tre giudici che formeranno il collegio e, terminato il periodo di vacanza (16 settembre), i signori magistrati metteranno in calendario la prima udienza e decideranno il relatore. Tutto si svolgerà velocemente perché la Corte dovrà limitarsi a ricalcolare, in mezza giornata, l'entità della pena accessoria e quindi se Berlusconi dovrà essere interdetto dai pubblici uffici uno, due, oppure tre anni. Si prevede che tra la fine ottobre inizio novembre arrivi sentenza. Dopodiché sarà la Cassazione a chiudere definitivamente la partita, senza incidere sulla prescrizione del reato. Qualora il senatore Berlusconi dovesse essere condannato all'interdizione anche un solo giorno, sarà sempre Palazzo Madama a dover votare. Ieri la giunta delle elezioni di Palazzo Madama, intanto, ha iniziato ad affrontare il caso della decadenza del Cavaliere in base alla legge Severino. In calendario c'era la riunione dell'ufficio di presidenza, chiamato a pronunciarsi sull'ordine dei lavori della seduta di lunedì prossimo. Quella in cui il relatore, il pdl Andrea Augello, presenterà la sua proposta. Ma poiché per decidere era necessaria l'unanimità, alla fine si è deciso di non decidere. Nel senso che se ne riparlerà direttamente il 9 settembre a partire dalle ore 15, quando ricominceranno i lavori. «Lunedì ascolteremo la relazione del senatore Augello, eventualmente inizieremo una discussione e poi riuniremo l'ufficio di presidenza e ci accorderemo sulla prosecuzione dei lavori», anticipa il commissario Benedetto Della Vedova (Scelta civica). Al momento è impossibile prevedere cosa accadrà in fatto di tempi. «Dipende dagli interventi, dipende dalla discussione», mette le mani avanti il presidente, Dario Stefano (Sel), che potrebbe prolungare la seduta a oltranza.  Tra Pdl e Pd la tensione resta altissima. «Per noi la legge Severino non va applicata perché retrodatata», avverte Altero Matteoli. «Non trovo ci siano motivi di illegittimità costituzionale della legge Severino e questo sarà l'orientamento dei nostri membri in giunta», ribatte Guglielmo Epifani, segretario del Pd. «Tutto quello che è la minaccia di una crisi di governo o il ritiro della delegazione Pdl, in Giunta non ci tange», aggiunge Felice Casson, l'uomo forte del Pd in giunta. Botta e risposta che fanno prevedere un duro braccio di ferro fin dalla seduta di lunedì, con i democratici pronti ad accelerare e il Pdl determinato a prendere tempo anche ricorrendo alle questioni pregiudiziali. «Sentiremo la relazione di Augello e poi valuteremo», si limita a dire Giacomo Caliendo. «C'è chi vuole per pregiudizio stabilire i tempi prima di conoscere la relazione?», si chiede l'ex sottosegretario alla Giustizia. «Nessuno sa cosa dirà Augello: ma come si può decidere se si ha bisogno di un giorno o   una settimana?».  Cristiana Lodi

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