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Le feste del Pd esentate dal pagamento dell'Iva

Menu raffinati e incassi milionari, ma alle kermesse democratiche non si emettono scontrini. Ora partono le denunce

Lucia Esposito
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C'è un pezzo di Italia - piuttosto consistente - che non ha alcuna preoccupazione per l'aumento Iva che dovrebbe scattare da  ottobre. È il piccolo esercito di baristi, ristoratori, commercianti per diletto e organizzatori delle Feste democratiche (le vecchie feste dell'Unità) che riempiono anche quest'anno le piazze e i parchi della penisola da giugno a settembre. Non sono preoccupati dell'aumento perché nessuno di quegli esercizi commerciali a tempo paga l'Iva. E a dire il vero non paga nemmeno un centesimo di tasse. Perfino a Genova, alla Festa nazionale democratica dove il premier Enrico Letta ha aperto i lavori con un intervento che ha tuonato come spesso accade contro l'evasione fiscale italiana. Lo stesso premier ha bevuto un caffè in un esercizio della festa che regolarmente non ha emesso alcun scontrino.   Accade così in ogni posto d'Italia. Lo ricorda il breve manuale ad uso interno per l'organizzazione di una Festa Pd, scritto da Luca Bosi e Nunziatina Stanco. Lì si spiega a tutti i dirigenti di partito impegnati nell'organizzazione delle kermesse estive che «le feste rappresentano una delle fonti primarie di autofinanziamento delle strutture locali del partito. Questa finalità le distingue dalle attività commerciali e pertanto nei punti ristoro non sono presenti né casse fiscali né si emettono scontrini fiscali. In questo senso anche l'attività di raccolta sponsor, se fatta direttamente, assume il valore di una sottoscrizione al locale circolo organizzatore». Il Pd ha anche sottoscritto un accordo assai favorevole con la Siae per pagare un tanto al giorno (da un minimo di 118,10 a un massimo di 688,70 euro) a seconda della grandezza della festa e dei punti spettacolo lì previsti. Insomma, in casa della più grande kermesse del Pd il fisco non solo non è invitato, ma non è nemmeno previsto. Per escluderlo da tutte le attività i consulenti del partito fanno riferimento alla legge sulle Onlus che rendono esentasse attività simili. Non sempre peraltro le organizzazioni territoriali della Siae e perfino qualche tenenza della finanza riconoscono questa assenza di lucro alle vecchie feste dell'Unità, per cui qua e là si sono aperti contenziosi.   Il dubbio è lecito, visto che le Feste democratiche in non pochi casi sono assai diverse da banali manifestazioni paesane. La sola festa provinciale di Bologna  ha  incassato  fra 3 e 4 milioni di euro a seconda dell'afflusso degli ultimi anni. Sono quasi una ventina le feste che fatturano più di un milione di euro. Tanto è che nella sola provincia lombarda sono state quattro nell'ultimo mese le rapine agli incassi delle Feste del Pd.  La somma sottratta al fisco paragonandosi a una Onlus è dunque rilevante,  sotto il profilo Iva  e  Ires. La qualità degli spettacoli in scena è spesso professionale, e fa concorrenza a teatri e aree concerti cittadini. Ormai anche quella dei ristoranti ha poco a che vedere con la tradizione della salciccia e del tortello fritto. Non si tratta di sagre paesane, ma di alta ristorazione in cui non viene emesso nemmeno uno scontrino al fisco. Alla sola festa di Reggio Emilia, che si è aperta il 23 agosto e chiuderà il 15 settembre si può scegliere se cenare all'Adriatico (trancio di tonno al sale dolce, capesante fresche gratinate, cappelletti al branzino, catalana di crostacei, acciughe di lampara alla brace), al Gambero Rosso (moscardini novellini in umido, salame di piovra su letto di rucola, trinagoli di pesce spada alla polpa di granchio, rombo alla piastra, filetto di San Pietro con carbonata di verdure), a Il Ventasso (insalata di porcini freschi, porcini trifolati, costolette di agnello con erbe aromatiche, tris di formaggi stagionati con miele di castagno e marmellata di cipolle) o a I Sapori di mare (bocconcino di tonno con pistacchi, mandorle e crudità di spinaci, astice all'amalfitana con insalatina di limoni Bio di Sorrento, lavagnetta nera di grano duro con tonno, coda di rospo e crema di ceci, fagotto di crostacei con granchi, cozze, vongole, gamberi e molluschi). Di povertà e volontariato in menù così c'è davvero poco. A Terni qualcuno  ha presentato  denuncia in procura. Certo, pagare le tasse su attività commerciali così, non sarebbe brutto gesto da parte del partito che oggi esprime il premier.    

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