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Pansa: in attesa del 30 luglio la Casta va in tilt

Giampaolo Pansa

Martedì la Cassazione si esprimerà sulla condanna del Cavaliere. Ma gli effetti di una sentenza ancora tutta da decidere si vedono già...

Giampaolo Pansa
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Non ho mai creduto alla potenza delle date. Eppure la storia di una nazione è sempre legata a un certo giorno di un certo anno. Vogliamo ricordarne qualcuno? Il 28 ottobre 1922, la marcia del fascismo su Roma. L'8 settembre 1943, l'armistizio. Il 25 aprile 1945, la liberazione. Il 18 aprile 1948, la vittoria di De Gasperi su Togliatti che segnò la vera fine della guerra civile. Ma in quelle epoche l'Italia non era il paese con le pezze al sedere che è oggi. Certo era povero, ma non gli mancava il quid che tiene in vita tutte le società: la speranza. Oggi lo possediamo? Forse sì, forse no. Propendo per la seconda ipotesi.   A confermarlo esiste una prova, legata anch'essa a una data: il 30 luglio 2013, martedì prossimo. Quel giorno la Cassazione dovrebbe decidere la sorte di Silvio Berlusconi. Scrivo dovrebbe perché con la giustizia italiana nulla è mai certo. Tuttavia fra due giorni forse conosceremo il destino del Cavaliere. Il Bestiario si augura che sia fortunato, ma non si aggrega ai tanti che paventano la fine del mondo se venisse ribadita la pena decisa dalla Corte d'appello a Milano.  Anch'io penso che una parte della magistratura italiana sia in preda a un delirio di onnipotenza. Pur non essendo un esperto del ramo, colgo segnali che mi allarmano. Uno di questi sono le condanne contro i big che stanno diventando sempre più pesanti. E temo che questo ciclo di severità estrema continuerà ancora per molto.  Del resto è fatale che accada così. Quando un potere pubblico va a ramengo, come oggi succede ai partiti e in genere alla politica, un altro potere, ad esempio quello che amministra la giustizia, prende il sopravvento. E nessuno lo ferma più, almeno per un bel po' di anni.  Martedì sapremo se anche la Cassazione si muoverà lungo questo percorso di guerra e confermerà o meno l'ennesima condanna del Cavaliere. Ma gli effetti di una sentenza ancora tutta da decidere si vedono già. La Casta dei partiti è andata in tilt. Quasi temesse di finire in carcere insieme a Berlusconi. Eppure perdere la sinderesi, come si diceva un tempo, non serve a nulla. E ha una conseguenza sola: farti diventare un'oca matta e spingerti a commettere errori che in altre circostanze eviteresti.   Deve essere andata così per un astuto giacobino come Stefano Fassina, l'esperto di economia del Partito democratico, nonché sottosegretario o vice ministro del governo. Giovedì scorso si è lasciato scappare quattro parole che gli resteranno appiccicate finché campa: «Si evade per sopravvivere». Un fantozziano passo falso per di più compiuto in una sede pericolosa per affermazioni del genere: una convention della Confcommercio, l'associazione maggioritaria del settore.   Nel luglio di un anno fa ho già avuto modo di spiegare ai lettori di  Libero  chi sia il padre padrone del sodalizio: il mitico Carlo Sangalli, detto Carluccio, anni 76 a fine agosto, un fisico da giovanotto, nonostante abbia fatto il deputato democristiano per ben sette volte, dal 1968 al 1992, ultima legislatura della Prima Repubblica.    È  proprio vero che gli estremi si toccano. Il tenebroso Fassina, un ultrà della patrimoniale per far piangere i presunti ricchi, ha regalato uno slogan imprevisto al Sangalli. Senza rammentare di avere di fronte uno che ha sulla coscienza il disastro della finanza pubblica. Qualche big della Confcommercio penserà: «Ma che stronzate scrive quel matto di Pansa?». Ecco un giudizio incauto.  Il deputato di lungo corso Carluccio Sangalli sarà pur stato un parlamentare che contava come il due di picche. Ma fu uno dei tanti sventati che, sotto l'insegna dello Scudo crociato, tendenza Andreotti, votarono anno dopo anno la crescita sciagurata del debito pubblico, la montagna perversa che ci soffoca.    Fassina, Fassina, studia un po' di storia della Repubblica italiana! E stai attento a chi maneggia le convention dove vai a enunciare teorie pericolose. Tuttavia il viceministro dell'Economia ha un'attenuante che gli concedo volentieri. È di stare in un partito che sta facendo un karakiri al rallentatore, un'operazione suicida che potrebbe risolversi in una catastrofe.   Poiché i capelli bianchi mi hanno regalato un tantino di buonsenso, mi auguro che il Pd non scompaia. E sappia trovare la strada per evitare la tomba. Le sue piaghe hanno un'origine interna: la maledizione a dividersi che azzoppa da sempre la sinistra italiana. Tuttavia non escludo che anche il marasma che perseguita Gugliemo Epifani & C dipenda in parte dal clima di nevrotica attesa del 30 luglio. Neppure la nomenklatura democratica, in apparenza una squadra di cervelloni, immagina quale sarà l'effetto di una condanna del Berlusca.   Il governo Letta durerà? O verrà soffocato da una crisi irrisolvibile? Se andrà così, quale sbocco può esserci a questo disastro? Il presidente della Repubblica rimetterà in sella Letta, un premier che non ha sostituti alla sua altezza, e non parlo della statura fisica, ma dell'attitudine a governare? E con quale maggioranza?    In questo possibile crac rimarrà irrisolto il problema dei problemi: la gigantesca evasione fiscale. Letta ha già spiegato al paese che la pressione fiscale è alta perché sono tanti gli italiani che non pagano le tasse. A molti appare un rebus irrisolvibile. Ho letto anch'io su  Panorama  l'analisi spietata di Luca Ricolfi. Lui ci ha rammentato che cosa potrebbe accadere se si combattesse per davvero l'evasione.  Migliaia di piccole imprese e di esercizi del Centro-Nord chiuderebbero,  licenziando centinaia di migliaia di persone. E tutta l'economia del Mezzogiorno, dove l'evasione è all'incirca il triplo di quella del Nord, verrebbe rasa al suolo. Almeno un milione di persone perderebbe il lavoro. Con una serie di drammatiche conseguenze per l'ordine sociale.  È possibile che Ricolfi abbia ragione. Anche quando sostiene che questo spiega perché nessun partito voglia ingaggiare una sfida che gli farebbe perdere molti voti. Ecco una conclusione verosimile che, tuttavia, non tiene conto dell'emergere di una serie di atteggiamenti inevitabili. Il primo è che, di fronte a un'inerzia prolungata nei confronti degli evasori, i contribuenti onesti potrebbero ribellarsi.   Non è un rischio teorico. Lo constato nella mia cerchia personale. Molti amici che come me hanno sempre dichiarato tutti i loro redditi, e per questo appaiono ricchi mentre sono soltanto onesti, si stanno domandando se non possono rifugiarsi anche loro in una parziale evasione. Per non farlo, vorrebbero  vedere dei segnali forti.   Per esempio, una legge seria che preveda il carcere per gli evasori più sfacciati. E insieme alle manette, il sequestro dei beni. Qualcuno si domanda perché il governo non decida la pubblicazione su Internet di tutti i redditi, come aveva fatto nel maggio 2008 il benemerito Vincenzo Visco, ministro delle Finanze del secondo governo Prodi.  Allora la decisione suscitò un pandemonio e la diffusione dei dati venne bloccata dal Garante della privacy. Ma il sottoscritto la considera un atto di trasparenza in grado di mettere a nudo le migliaia di maledetti furboni che fingono di essere poveri, mentre sono soltanto evasori bugiardi.  Non è facile essere italiani. Siamo specialisti nel complottare contro noi stessi. Ogni occasione è buona per fottere la repubblica che è la nostra casa. Per questo il Bestiario si augura che la data del 30 luglio 2013 non debba segnare un giorno infausto per tutti.   

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