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I dubbi senili di due vecchi comunisti sulla libertà dal Parlamento

Facci visto da Vasinca

Bertinotti e Re Giorgio si scambiano epistole sul ruolo dell'aula. Che non è libera, ma al giogo dell'Europa

Andrea Tempestini
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Bertinotti vi piacerà o meno, ma in una lettera rivolta a Napolitano e pubblicata sul Corriere della Sera (ne riferiamo all'interno) ha messo nero su bianco la questione democratica forse più importante del nostro tempo. Questa, più o meno: non è che possiamo vivere sotto il perenne ricatto dell'Europa economica e quindi accettare che la caduta di un qualsiasi governo - prima Monti, poi Letta - comporti per forza dei «danni irreparabili» che rendano la governabilità un mito assoluto. In democrazia non funziona così. Non è che ci sono dei processi economici imprescindibili coi governi che devono esistere e resistere solo per arrancarvi dietro: i governi servono anche e soprattutto per influenzarli, i processi economici, non solo per inseguirli; con le politiche economiche e sociali che imperano in Europa, del resto, si potrebbe anche non essere d'accordo, così come l'idea di «interesse generale» potrebbe variare da Roma a Bruxelles. Ergo, i vincoli alla nostra sovranità - che già ci sono - non possono spingersi al punto di demonizzare ogni alternativa di governo o il vituperato ritorno al voto popolare, che farà anche schifo ma resta il cardine della democrazia rappresentativa. Certo, in ogni momento il Parlamento è libero di votare la sfiducia al governo, ma il punto è proprio questo: il Parlamento è libero? Notevole che per riparlarne si debba ricorrere alle epistole di due ex comunisti. di Filippo Facci @FilippoFacci

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