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Finanziamento ai partiti, qualche deputato del Pdl fa il doppio gioco. Appello: non tradite gli elettori

Una manifestazione del Pdl

Andrea Tempestini
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Che i politici non mantengano le promesse non è esattamente una notizia. E però questo non è un buon motivo per smettere di segnalare quando ciò avviene. Specie quando ad essere disattesa non è una generica promessa da comizio ma uno dei pilastri sui quali l'offerta elettorale di detti politici poggiava. L'argomento in questione è  l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ed il partito ad averla disattesa - seppure in nutrita e trasversale compagnia - è il Popolo della libertà. L'antefatto è noto: il governo Letta ha mandato in Parlamento un disegno di legge per cancellare il finanziamento pubblico ai partiti, sostituendolo con forme di contribuzione volontaria. Una volta approdato alla Camera, però, il provvedimento ha iniziato a subire un rilevante fuoco incrociato da parte dell'arco costituzionale al quasi gran completo. Come ampiamente documentato da Libero prima e da numerose altre testate poi, lo sbarramento opposto dai partiti è stato strenuo fin dal primo momento. Ad oggi risultano depositati qualcosa come centocinquanta emendamenti atti a spuntare quanto possibile la riforma, e se c'è qualcosa su cui la maggioranza delle larghe intese sta dando mostra di compattezza granitica, questa è proprio la lotta dura contro lo stop al finanziamento. Carta canta - Le motivazioni addotte dai partiti spaziano dagli altissimi peana circa i destini della democrazia a rischio ai più terragni problemi organizzativi, e sono più o meno condivisibili a seconda dei punti di vista. Quello su cui non sono ammesse divergenze interpretative, tuttavia, è la constatazione di come, da parte pidiellina, si stia clamorosamente venendo meno alla parola data. Parola che era stata messa nero su bianco e controfirmata prima delle elezioni di febbraio. Al momento della composizione delle liste, infatti, la dirigenza di via dell'Umiltà aveva pensato di vincolare l'inserimento in lizza dei singoli candidati alla solenne sottoscrizione da parte di questi ultimi di un documento di intenti in sei punti. Con Grillo alle porte e con l'anticasta più in forma che mai, d'altronde, presentarsi dinnanzi alla cittadinanza privi di adeguata dotazione di lotta ai privilegi di lorsignori sarebbe stata operazione elettoralmente suicida. Pertanto, si era necessaria l'assunzione di responsabilità. L'elenco, battezzato enfaticamente “patto del parlamentare” e debitamente pubblicizzato, prevedeva sei punti. 1) Votare il dimezzamento degli emolumenti ai parlamentari; 2) Approvare la riforma costituzionale col dimezzamento del numero dei parlamentari; 3) Votare una legge che azzeri il finanziamento pubblico ai partiti; 4) Non tradire il mandato degli elettori passando ad altro gruppo parlamentare; 5) Impegnarmi alla totale trasparenza sulla mia attività e sui miei redditi; 6) Impegnarmi al servizio del Paese per non più di due legislature, a partire da questa. Sorvolando per ora su quarto, quinto e sesto punto (che impattano nel medio-lungo periodo e per disattendere i quali c'è ancora un sacco di tempo), gioverà concentrarsi sui primi tre. Magnanimamente, si espungerà dalla lista anche il punto numero due - approvare le leggi costituzionali è operazione lunga, complessa e non portabile a termine in una manciata di mesi - restringendo il campo ai soli primo e terzo punto. Riguardo ai quali, però, non c'è redenzione. Quanto al dimezzamento degli emolumenti - peraltro - si potrebbe persino iniziare a fare qualcosa in assenza di una legge ad hoc, nell'attesa della quale basterebbe un provvedimento adottato in sede di ufficio di presidenza. La riforma strutturale andrebbe comunque partorita mediante intervento legislativo more solito, ma nell'attesa un primo segnale concreto lo si potrebbe dare comunque.  Tempi biblici? - Non che il traccheggiamento sul finanziamento pubblico sia per questo meno scusabile. Anzi. Qui il testo di legge ci sarebbe, e mettersi a farne gli scudi umani dovrebbe essere, per un partito che tanto aveva insistito su di esso in campagna elettorale, poco meno che automatico. E invece no. Invece anche il Pdl ha deciso di andare ad ingrossare le file degli oppositori. «Ho paura per la democrazia», spiegava ieri il tesoriere azzurro Maurizio Bianconi al Corriere, «questa è una legge sbagliata, ipocrita e piena di sciocchezze». Sarà, ma è una legge che, almeno nello spirito, corrisponde ad uno dei sei punti sotto i quali l'intera pattuglia parlamentare pidiellina, Bianconi incluso, ha messo la firma. Intuito il rischio di vedere la cosa slittare al futuro remoto, il governo cerca di prendere in mano la situazione. Ieri sera il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello ha convocato un vertice con i rappresentanti dei partiti di maggioranza per fare il punto sul percorso parlamentare della riforma onde evitare che la materia si possa «rimandare alle calende greche». Tempo e modo perché il Pdl cambi registro evitando di perdere credibilità nei confronti di chi l'ha votato ci sono ancora. Sta al partitone azzurro trovare la sensibilità e l'intelligenza per capire che l'elettorato è disposto a perdonare tutto, ma questo no. di Marco Gorra

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