Berlusconi offre a Lettala clausola di lunga vita
Il Cav vuole un esecutivo di legislatura per arginare l'offensiva dei pm: Brunetta gli fa da ambasciatore. Se tutti i processi andassero male, Silvio prenderebbe 16 anni
Con l'approssimarsi del verdetto finale, guadagna sempre più smalto il profilo da statista che si è ritagliato Silvio Berlusconi, il quale vede in questo governo, anzi, nel tandem Letta-Napolitano, l'ultimo avamposto alla débacle. Per questo, il Cavaliere è passato nel giro di poche ore dal dilemma amletico (far cadere o non far cadere l'esecutivo di larghe intese in caso di condanna della Cassazione sul processo Mediaset), agli scongiuri perché lo status quo duri il più a lungo possibile. Preferibilmente, lo spazio di una legislatura. Questo auspicio, sempre più ardente nel leader del Pdl, non può esprimerlo lui personalmente, per ovvie ragioni di opportunità politica. Se ne fanno portavoce i suoi colonnelli. Berlusconi ha affidato il suo messaggio indirizzato a Enrico Letta, perché i magistrati intendano, al falco dei falchi, il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, per rendere ancora più credibile il «patto di legislatura» che lui propone al premier. «Letta ha bisogno di un respiro di legislatura per manifestare appieno la credibilità del nostro governo e fare le riforme. Ci vuole un grande patto di legislatura e un rafforzamento della compagine legislativa con pari dignità tra Pd e Pdl», ha detto ieri il presidente dei deputati del Pdl a SkyTg24. «Se si fa un patto di legislatura», ha spiegato Brunetta, «si deve rafforzare il governo per durare fino al 2018. Noi abbiamo preso pochi punti in meno del Pd, eppure non abbiamo il presidente del Consiglio e abbiamo parecchi ministri in meno. Non è un problema di ministri, ma di pari dignità e strategia comune per fare sì che questa legislatura duri 5 anni». Brunetta contrappone la sua proposta, che definisce «assolutamente generosa» e che a suo dire «a Letta piace», a quella del rimpasto lanciata da Epifani, che boccia in toto: «È un linguaggio da Prima Repubblica, non mi piace». Come in ogni teatrino della politica che si rispetti, non si è fatta attendere la replica del leader del Pd: «Bisogna parlare di cose serie: un programma più forte per risolvere i problemi del Paese perché la crisi sta mordendo». Immancabile la controreplica di Brunetta: «Incredibile Epifani. Prima s'nventa il tagliando, che implica pezzi di ricambio, poi dice che si deve parlare di cose serie. Se le canta e se le suona da solo». I falchi del Pdl, quindi, non abbassano del tutto le penne. Se con una mano Brunetta porge la carota a Letta, con l'altra brandisce il bastone contro il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. A quella che l'economista del Pdl definisce «una politica dei piccoli passi, sbagliata in un momento straordinariamente difficile come questo», Brunetta contrappone la sua ricetta, dando l'impressione di mirare lui alla scrivania di Quintino Sella: «A noi serve uno shock. Abbiamo bisogno di tanti shock per la nostra economia altrimenti muore». Uno slogan, questo, coniato tempo fa da Berlusconi, che ha imposto ai suoi pasdaran di limitare la polemica alle questioni tecnico-economiche e di abbassare i toni. Il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, principale detrattore di Saccomanni nel Pdl, ieri non è tornato a chiederne le dimissioni. Si è limitato a invocare una «stabilità di governo ma anche una guida salda della politica economica» e ha rivolto un appello al premier: «I dati impongono, anche a formazione invariata, un'azione diretta del Presidente del Consiglio. Serve in Europa un confronto politico tra leader politici, non tra funzionari di seconda fila. Letta ha il sostegno per affrontare questi temi». Anche Daniela Santanchè, ha ribadito «no al rimpasto di governo», proponendo in alternativa: «Rimpastiamo l'Europa, portiamo l'Italia fuori dalla crisi per dare risposte a famiglie imprese e lavoratori». Sono i pretoriani del Pdl, pronti a difendere fino alla fine Berlusconi, che chi ha visto ultimamente descrive «con la testa solo sui suoi processi, non parla d'altro, preoccupato soprattutto dall'impatto economico che una condanna avrebbe sul suo patrimonio e sulle sue aziende». Il Cav è pronto al peggio. E anche i suoi fedelissimi. A palazzo Grazioli hanno già fatto il conto complessivo degli anni di carcere che la magistratura infliggerebbe a Berlusconi se andassero male tutti i suoi processi: 16 anni. Ma l'ordine di scuderia resta: sostegno pieno al governo, anche in caso di condanna. Troppo funesto ogni altro scenario. Per distrarsi un po', il Cav ieri si è occupato di restyling di partito, intervenendo telefonicamente all'incontro dell'Esercito di Silvio: «Abbiamo deciso di tornare a Forza Italia», ha spiegato, «perché vorremmo, come ci riuscì 20 anni fa, rivolgerci ai giovani e imprenditori, per chiedere loro di interessarsi al nostro comune destino». Ma è chiaro che in questo momento gli interessa molto di più il destino del governo, legato a doppio filo al suo. Sul tema rimpasto, il Cavaliere ha ottenuto le rassicurazioni di Letta, ma non sfuggono ad Arcore, dove Berlusconi dovrebbe restare fino a domani, le crescenti fibrillazioni del Pd, che potrebbero terremotare la maggioranza proprio a ridosso del 30 luglio. La tensione sempre più alta nella maggioranza, esasperata dal dibattito sull'omofobia, accresce il timore a via dell'Umiltà che i democratici stiano preparando il terreno per liberarsi del Pdl e dar vita a nuove alleanze, con Sel e M5S, se la Cassazione confermasse la condanna al Cav. Dando corpo al suo incubo peggiore. di Barbara Romano