Nel Pd è guerra civile: ecco i 13 deputati (renziani) che minacciano Epifani e Letta
Governisti contro frondisti. Senatori contro deputati. Dopo la bagarre seguita al voto sulla sospensione dei lavori del Parlamento, all'interno del Pd è scoppiata la guerra civile. Guglielmo Epifani aveva provato a metterci una pezza, giustificando il voto favorevole alla richiesta del Pdl ma mettendo sull'altolà il centrodestra, minacciando la caduta del governo. Ma a Largo del Nazareno, ormai, è saltata ogni sorta di mediazione. La lettera dei 70 - Ieri, giovedì 10 luglio, 70 senatori in una lettera aperta hanno difeso la scelta fatta in Parlamento, lanciandosi poi in una difesa ad oltranza dell'esecutivo guidato da Letta: "È demagogico invocare il ritorno alle urne quando tutti sappiamo che il porcellum ci restituirebbe un parlamento altrettanto frammentato e ingovernabile - recitava la lettera". E ancora: "Non sosterremmo un minuto di più questa maggioranza se non pensassimo che possa produrre in tempi certi le scelte di cui il Paese ha bisogno - concludono i senatori - Ma oggi rivendichiamo che questa è la miglior scelta che si possa fare date le circostanze". Una frecciata scagliata, seppur in maniera indiretta, contro i renziani, che hanno rumorosamente protestato dopo il voto sulla sospensione. La replica dei renziani - La replica dei renziani arriva a stretto giro. Non ci stanno a passare per degli irresponsabili, nè ad essere definiti delle "merde" o degli "sciacalli" dal 'giovane turco' Matteo Orfini, che ha poi smentito il primo insulto, ma confermato il secondo. E a loro volta scrivono una lettera ad Epifani: "Di fronte ai veri e propri insulti rivolti da colleghi Pd ad altri deputati del gruppo, crediamo che sia opportuna una valutazione da parte vostra sulla vicenda, per capire se non siano stati superati i confini minimi della correttezza e della decenza”. Firmato: Michele Anzaldi, Matteo Biffoni, Luigi Bobba, Francesco Bonifazi, Ernesto Carbone, Filippo Crimì, Marco Donati, David Ermini, Luigi Famiglietti, Edoardo Fanucci, Federico Gelli, Ernesto Magorno, Laura Venittelli. Insomma, in casa democrats aleggia nuovamente lo spettro della scissione. Nelle righe successive i 13 deputati avvertono: "Si tratta di episodi che non esitiamo a definire gravi, poiché legittimano addirittura l'insulto pubblico per chi non si allinea – scrivono – in presenza peraltro di decisioni poco chiare e discutibili che hanno fatto parlare di cedimento a Silvio Berlusconi". Tira aria di scissione (di nuovo) - I renziani si sentono dei paria, dentro quella che ancora considerano casa loro, ossia il Pd. La lettera si chiude con una velata minaccia di scissione: "Di fronte all'assenza di smentite, che alimenta un clima di scontro e di assoluta mancanza di rispetto tra colleghi di partito, ci chiediamo se situazioni del genere possano essere accettate in un contesto politico comune". Come dire: datevi una calmata, ci mettiamo un attimo ad andarcene. Nessuno, però, vuole al momento prendersi la responsabilità di una scissione, ne tanto meno di far cadere il governo Letta. Il Pd aspetta che Renzi se ne vada. Renzi aspetta di essere cacciato. Ciò che manca affinché ciò si concretizzi è la scintilla, l'evento scatenante.