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Berlusconi: "Mi mandano in carcere"

Berlusconi arrestato: visto da Benny

Salvatore Dama
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La speranza che il suo «giudice a Berlino» sieda in uno degli uffici del Palazzaccio si liquefa in una torrida mattinata di luglio. In poche ore capita un “uno-due” che Silvio Berlusconi ricorderà per un pezzo. Il Corriere che pubblica una notizia apparentemente favorevole al Cavaliere - una parte del processo Diritti Mediaset finirà prescritta entro due mesi - e la Cassazione che sgombera ogni dubbio sul tasto delete: nessuna intenzione di premerlo, il 30 luglio i giudici della Suprema Corte si riuniranno e decideranno se confermare la condanna a 4 anni più 5 di interdizione dai pubblici uffici. Berlusconi, in questo palleggio, ci vede del marcio: «È successo come nel '94», quando via Solferino pubblico la notizia, confidenzialmente ricevuta dalla procura di Milano, dell'avviso di garanzia spedito all'allora presidente del Consiglio mentre presiedeva il G7 di Napoli. Stesso schema anche stavolta, secondo il leader del centrodestra. Ciò che non si aspettava è di dover aggiungere anche le toghe della Cassazione nell'elenco dei magistrati che «mi vogliono rovinare».    Aveva fatto tutto con criterio, Silvio, in vista del terzo grado di giudizio sui Diritti Mediaset. Ingaggiato l'avvocato migliore su piazza ed esperto cassazionista, Franco Coppi; abbassato i toni fino a esclissarsi onde evitare di aizzare nuove polemiche con la magistratura; tenere distinte le sue vicende personali giudiziarie dal sostegno al governo delle larghe intese. Tutto inutile? Adesso il timore dell'ex premier è che l'accelerazione decisa al Palazzaccio possa essere l'anticamera di una condanna definitiva.  Berlusconi arriva a Roma nel pomeriggio. Avrebbe dovuto partecipare alla riunione dei deputati del Pdl sull'Imu e sull'Iva, ma si rinchiude a Palazzo Grazioli. Con lui i falchi del Popolo della libertà. È una sorta di gabinetto di guerra, in cui un Silvio furente valuta scenari e possibili reazioni. «Se mi condannano non vi assicuro più nulla, può succedere di tutto», ha mandato a dire il Cavaliere ai  ministri pidiellini. «Potremmo bloccare i lavori parlamentari», ragiona  il leader valutando l'Aventino  come possibilità alternativa alla caduta del governo. Nonostante la concitazione del momento, raccontano, Silvio mantiene lucidità di giudizio. E sa che tenere un piede, con i suoi uomini, nell'esecutivo è l'unica garanzia che la rappresaglia non si estenda anche alle sue aziende. Poi c'è anche chi gli fa notare che la linea della responsabilità finora non  ha pagato affatto. Che «l'aggressione giudiziaria» ha toccato il picco proprio mentre il Cavaliere riparava nelle retrovie assecondando la linea morbida e  l'accordo con la sinistra. Allora rimangono sempre in auge reazioni clamorose come la piazza, le manifestazioni davanti ai tribunali, le dimissioni di massa dei parlamentari e le urne anticipate.  Quest'ultima strada è la meno percorribile perché non dipende da via dell'Umiltà ma dal Quirinale. Inoltre Silvio si troverebbe di fronte Matteo Renzi, avversario tutt'altro che facilmente battibile. Sono ore non facili a Palazzo Grazioli. Dubbi si sommano a dubbi. Come quelli degli avvocati-deputati del Pdl che a Montecitorio discettano sulle possibili conseguenze di una condanna definitiva. C'è chi richiama alla memoria il caso di Cesare Previti, il quale prima che il giudice dell'esecuzione della pena disponesse i domiciliari trascorse diversi giorni in cella. E allora quando Berlusconi si sfoga dicendo «quei giudici mi vogliono mandare a San Vittore», ecco quelle parole suonano sempre meno come un'iperbole. Salvatore Dama

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