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Smantellata la legge anti-castaI partiti si tengono il malloppo

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A Pd, Pdl e Sel sono bastate due settimane per aggirare il ddl Letta contro il contributo pubblico a favore del sistema del 2 per mille. Barricate pure contro la regolamentazione giuridica delle compagini politiche. Resterà tutto come prima

Nicoletta Orlandi Posti
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Il disegno di legge sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti presentato in pompa magna da Enrico Letta è già se non morto, quasi moribondo. In appena due settimane di discussione presso la commissione Affari costituzionali della Camera presieduta da Francesco Paolo Sisto, sono  stati decisamente più i no a quel testo che i sì. Ampia l'ostilità all'abolizione del finanziamento pubblico, che attraversa Pd e Pdl, ma anche Sel. Praticamente unanime il no alle norme del disegno di legge governativo che ficcano il naso dentro l'organizzazione interna ai partiti, attuando con legge ordinaria quanto scritto nell'articolo 49 della Costituzione.  Sui soldi pubblici l'opinione è quasi concorde. Sostiene Maurizio Bianconi, tesoriere del Pdl: «Non ritengo che l'abolizione del finanziamento pubblico sia una scelta positiva per il funzionamento del sistema democratico, né che sia un atto di democrazia. La democrazia prevede infatti che tutti i partiti possano vivere e far politica: i piccoli e i grandi, quelli dei più ricchi e quelli dei più poveri». Stessa musica all'interno del Pd. Dice Rosy Bindi: «ciò che colpisce maggiormente rispetto al disegno di legge del Governo è che, se venisse approvato nel testo attuale, collocherebbe l'Italia fuori dall'Europa considerato che, di fatto, comporterebbe un'abolizione completa del finanziamento pubblico ai partiti politici, passando a forme alternative». Giuseppe Lauricella, altro esponente del Pd della stessa commissione, ha avvisato: «Va considerato che eliminare del tutto il finanziamento pubblico significa privare i partiti di autonomia nei confronti della finanza e dell'economia, a danno del principio democratico e a tutto vantaggio di pochi, in quanto il finanziamento pubblico è proprio il mezzo per assicurare l'autonomia della politica rispetto alla finanza e all'economia». Così ha proposto di «puntare ad un finanziamento pubblico che sia giusto, mirato, trasparente e controllato», invitando i colleghi a non sacrificare «il principio democratico sull'onda emotiva del presente momento storico». Insomma, i partiti si tengano i soldi pubblici senza cedere al populismo. Stessa linea di un altro esponente Pd. Andrea Giorgis, che chiede di evitare «eccessive semplificazioni volte a rincorrere una presunta domanda dell'opinione pubblica», sostenendo che «la legge sul finanziamento pubblico dei partiti è una legge costituzionalmente obbligatoria, nel senso che si può discutere sulla forma di questo finanziamento, ma non sulla sua esistenza». Giorgis è tranchant: «È la Costituzione stessa quindi a richiedere che si garantisca l'autonomia del potere politico dagli altri poteri e questa garanzia si attua con il finanziamento pubblico dei partiti. Senza finanziamento pubblico, la politica dipende infatti dalla generosità dei contributi privati e non può essere autonoma dai soggetti che erogano questi contributi e dai loro interessi privati». Non parliamo poi di Sel, per cui si è espresso Sergio Boccaduri accusando di falso perfino il celebre rapporto della Corte dei Conti sull'eccesso di rimborsi elettorali. Legge Letta cassata così: «Non è possibile quindi liquidare il tema del finanziamento della politica e dei partiti politici con analisi affrettate e proposte che cavalcano le pulsioni profonde che si agitano nel cosiddetto ventre molle del Paese, ignorando quanto questo tema sia profondamente innervato al principio democratico e alle garanzie costituzionali». Bocciato da tutti o quasi il due per mille Irpef ideato dal governo, che sarebbe comunque finanziamento pubblico. Secondo il tesoriere Pdl Bianconi così ogni partito raccoglierebbe soldi a modo suo: «Per esempio Fratelli d'Italia spenderà per le sedi, Scelta Civica per la convegnistica di qualità, il Popolo della libertà per i cocktail party, il Partito democratico per le marce della pace: insomma, con le dazioni dirette, ognuno impegnerebbe i denari erogati in conformità al proprio modello di organizzazione per ottimizzare comunicazione e consenso». No dunque all'abolizione del finanziamento pubblico, ma no anche a una legge che ficchi il naso dentro le vicende dei partiti. Come ha ricordato Bianconi, i costituenti non vollero questo, ma «la giovane Repubblica italiana  garantì ad ogni movimento che avesse la forza di farlo di poter concorrere a determinare la politica nazionale, nulla sindacando sulle sue finalità e sulle sue strutture interne». di Franco Bechis @FrancoBechis

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