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Le allegre chiacchiere dei saggi:si ascoltano a vicenda e si divertono

Mentre il Paese è in crisi nera, la commissione di menti nominate per aiutare il governo a uscirne non fa altro se non "parlare". E se ne vantano persino sui giornali

Nicoletta Orlandi Posti
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Adesso finalmente abbiamo capito che cosa fanno i saggi: si ascoltano tanto. Nient'altro. Sono loro stessi a confessarlo: stanno lì, ore e ore a parlare, «io ascolto Onida, Onida ascolta me, io e lui ascoltiamo il professor Mirabelli, tutti insieme ascoltiamo  la  bravissima collega Carlassare…», come racconta il costituzionalista Beniamino Caravita di Toritto al Corriere della Sera.  Dovrebbero cambiare l'Italia, invece sembra la Confraternita degli amici di Mozart o il Club dell'Amabile Clavicembalo. La differenza è che, anziché musica classica, spargono nella stanza note di semipresidenzialismo e autonomia regionale. Ovviamente con i loro strumenti preferiti: i tromboni. D'Onofrio a Radio24: "Noi saggi pensiamo..." Ascolta l'intervista su LiberoTv Potenza della sinfonia. L'Italia va a rotoli, la gente si ammazza, i negozi falliscono, però loro, chiusi nella loro stanza musicale,  suonano il si bemolle della legge elettorale, e  sono felici come dei bebé all'ora della merenda. «Ci ascoltiamo a vicenda e discutiamo. Anche per ore. E  non c'è nulla di più bello», dicono. Ma sicuro: non c'è niente di più bello. Uno parla, l'altro ascolta. Uno ascolta, l'altro parla. E avanti così, per intere giornate, non è meraviglioso? Una montagna di parole, un universo di chiacchiere, tesi, antitesi, sottigliezze, deduzioni, induzioni, perifrasi, apocopi, pleonasmi, analessi, parallelismi, chiasmi e antonimie, un rigurgito infinito di metafore e distinguo, ellissi e disgiunzioni intorno all'esatta interpretazione del comma giuridico costituzionale. E che importa se nel frattempo il Paese muore? Loro sono soddisfatti, tanto basta: hanno la pancia piena e la bocca pure. E lo raccontano con esibita soddisfazione. «Ascoltarci è piacevole», conferma Cesare Mirabelli, un altro dei 35 saggi. «Anche se spesso gli interventi sono molto lunghi». E si capisce che sono lunghi: che altro avrebbero da fare i saggi se non ascoltarsi?   «Di un argomento singolo ciascuno espone le  sue idee. Così abbiamo la possibilità di verificare eventuali punti di criticità», aggiunge il professore, senza considerare che, se ognuno dei 35 saggi esprime le sue idee in modo «molto lungo» su ogni questione sollevata dai 139 articoli della Costituzione, il primo giro d'opinione si chiuderà, se tutto va bene,  nel 2029. A quel punto, sicuramente, i «punti di criticità saranno chiari», ci mancherebbe altro.  Ma poi che ci facciamo? Ai saggi non importa, ovviamente. Del resto «quando uno si trova davanti alla bellezza di un confronto così» che deve sperare d'altro? Che deve fare? Niente. «Io, per esempio», conclude con esemplare semplicità Mirabelli, «dico evviva». Dice «evviva», lui, avete capito? Di fronte alla «bellezza di un confronto così». Chissà se batte anche le manine o grida hip hip hurrà, magari organizza un bel girotondo con gli altri amichetti del Club Ascolto Felice. E perché c'è qualcuno che vuole rovinare questi sublimi momenti di gioia? Come si permette?  Il professor Zagrebelsky, per esempio, ha osato bussare alla porta dei saggi per chiedere conto del lavoro dei 35 saggi che, in fondo, dovrebbero solo rifare l'Italia. E loro, è naturale, si sono indignati: cosa facciamo? Semplice: ascoltiamo. Ed è bellissimo. Anzi «non c'è nulla di più bello». E dunque perché interrompere questa elevata emozione intellettuale con l'urgenza della cruda realtà? Per non correre alcun pericolo, per evitare cioè che rimanga qualcosa di concreto di questo aureo dibattito, i saggi hanno chiesto esplicitamente di non scrivere nulla di ciò che dicono. Nemmeno una parola, per l'amor del cielo: si ascolta e basta, si «crea un linguaggio comune», si cinguetta amorosamente  su bicameralismo e parlamentarismo, dudududadada, come trottolini innamorati di se stessi, si sta per lunghe ore assorti a rimirare la sapienza altrui specchiata nei propri occhi, ma senza mai sollevare il sospetto che possa emergere una proposta effettiva. Ci mancherebbe. Altrimenti dove finisce la bellezza dell'ascoltare? Si noti bene che i 35 saggi,  probabilmente non sapendo scrivere, avevano chiesto l'aiuto di altri saggi per redigere i rapporti. Il risultato è che da settimane abbiamo un comitato di saggezza formato da 42 persone: 7 incaricate di scrivere (che però non possono scrivere nulla) e 35 che passano il tempo ad ascoltarsi l'un l'altro gridando «evviva».  Se da qui deve nascere l'Italia nuova, al buio dico che io preferisco la vecchia. Il meglio, però, è quando i saggi entrano nel merito delle loro soavi e interminabili sedute d'ascolto. «Per esempio l'altra volte abbiamo discusso delle Province», spiega uno dei 35, Francesco D'Onofrio. Bene, no? Uno immagina che avranno discusso il metodo per abolirle in tempi rapidi, visto che siamo già in ritardo di 40 anni, anche a causa di qualche folle sentenza della Consulta. Invece no. I saggi non si occupano di queste quisquilie, non fanno simili rozze semplificazioni. Macché. I saggi discutono della «distinzione tra l'ambito provinciale e la Provincia come ente elettivo». E se qualcuno di voi non comprende l'importanza, si vergogni: «Perché “ambito” è un conto ed “ente effettivo” un altro, capite?», domanda D'Onofrio. E speriamo che, impegnato com'è ad ascoltare gli altri professori, non ascolti la risposta che viene spontanea al cuore di chi scrive. E, ne sono sicuro, a quello dei lettori. di Mario Giordano

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