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La mini-rivoluzione del Cav:il Pdl cambia sedeE sui soldi...

Silvio Superman: visto da Benny

Barbara Romano
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Ridiscutere tutto per non cambiare niente. O quasi. Le uniche modifiche certe che subirà il Pdl, al momento, sono la sede, che si trasferirà da via dell'Umiltà a piazza San Lorenzo in Lucina, e la raccolta fondi, che diventerà privata e volontaria. Cambiamenti molto pratici e concreti, imposti dal disegno di legge del governo Letta che imprime un ulteriore giro di vite ai costi della politica tagliati da Monti, abolendo del tutto, seppur gradualmente, il finanziamento pubblico dei partiti. Tutto il resto, forma e organizzazione di partito (liquido o/e pesante), nuovo nome, nuovo logo, ritorno a Forza Italia…, apparitene all'annoso bla bla sul Pdl, che ha animato anche il vertice di ieri sera tra i dirigenti convocati da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli.  Prima una riunione ristretta con i fedelissimi e poi un vertice allargato a tutto lo stato maggiore del partito. Berlusconi ieri è rientrato a Roma con un'agenda fitta di appuntamenti tutti con un unico scopo: capire cosa ne sarà del Pdl. Il nuovo Cav versione statista ha rimesso nel cassetto il sogno di riesumare Forza Italia e punta a preservare lo status quo anche nel suo partito, perché una rivoluzione nel Pdl potrebbe terremotare il governo Letta schiudendo scenari assai più funesti per il suo futuro politico, giudiziario e imprenditoriale. E se Berlusconi ieri sera ha deciso di allargare la riunione a tutti i big è per dare un segnale di salute democratica del Pdl e sedare i malumori interni accresciuti dai boatos circolati in questi giorni su un nuovo soggetto politico. Novità sostanziali, invece, non ce ne sono. Anche se più di qualcuno è pronto a scommettere su un coinvolgimento di Raffaele Fitto nella cabina di comando. L'ex ministro degli Affari Regionali giura di avere già declinato diverse proposte di incarico: «Il mio sogno è fare il parlamentare semplice», giura, ma non esclude di accettare di fare il coordinatore se fosse il Berlusconi a chiederglielo.  Fosse per lui, il Cav ritornerebbe di corsa a Forza Italia. «Ma al presidente, del partito in questo momento non gliene può fregare di meno», assicura un suo fedelissimo, «ora ha la testa solo sulle sue imminenti scadenze giudiziarie e non ci pensa nemmeno a mettere in discussione il governo Letta». E una rivoluzione movimentista Pdl, con l'esclusione della vecchia squadra dirigente per renderlo più snello, comporterebbe uno smottamento dei gruppi parlamentari, che potrebbero fare sponda a un'eventuale diaspora di senatori grillini. Un rischio che il Cav non intende assolutamente correre. Ecco perché l'input è frenare l'euforia e limitarsi un maquillage, al massimo a una ristrutturazione del Pdl. Niente «nuovo predellino» quindi. Zero rottamazione del Pdl. No «Forza Italia 2.0».  Ma una manutenzione del Pdl, quella sì che ci sarà. A partire dall'autofinanziamento del partito: tema che sta a cuore a Berlusconi e sul quale lui ha molto apprezzato la proposta di Denis Verdini, Daniela Santanchè e Daniele Capezzone. I tre consiglieri più ascoltati in questo momento dal Cav gli hanno suggerito varie forme di finanziamento privato da fund raising, mutuandole anche dai Democrats di Obama: piccoli contributi da parte dei cittadini, microdonazioni via web (crowfunding), raccolta fondi tramite tesseramenti d'oro e cene tra i pezzi grossi dello spettacolo, dell'imprenditoria e del jet-set. Obiettivo: raccogliere 100 milioni di euro nei prossimi anni. Tanti ne serviranno per portare avanti il partito, dal momento che Berlusconi, ha giurato ai suoi, non vuole più scucire un euro dalle sue tasche. E siccome i rimborsi elettorali verranno prosciugati del tutto di qui al 2017, occorre trovare forme di autofinanziamento, ma anche stringere la cinghia. Iniziando col traslocare dalla sede che fu di don Luigi Sturzo, a via dell'Umiltà, a un palazzo a piazza San Lorenzo in Lucina, dove l'affitto costerà 700mila euro l'anno anziché due milioni. Questioni pratiche alla voce snellimento dell'apparato, sulla quale si è riaccesa la polemica tra i sostenitori del partito strutturato, capeggiati da Fabrizio Cicchitto, e l'ala movimentista incarnata da Verdini. Polemica che ha sostituito l'annosa faida tra falchi e colombe e che infiammato il dibattito ieri sera a Palazzo Grazioli, soprattutto quando si è affrontato il capitolo riorganizzazione. «Il Pdl non sia più un partito di nominati ma di eletti», è il cambiamento invocato dai tradizionalisti per riconquistare gli elettori di centrodestra rifugiatisi nell'astensionismo. Proposta che sa molto di ritorno al futuro, poiché i sostenitori del partito strutturato sul territorio sponsorizzano l'elezione dei coordinatori locali attraverso il vecchio sistema dei tesseramenti. Sistema aborrito dai movimentisti, che invece ritengono sia il leader a dover scegliere i dirigenti locali. Alla fine si farà come dice Berlusconi: azzeramento dei coordinatori regionali che saranno sostituiti da imprenditori capaci di raccogliere fondi a sostegno del partito. Che continuerà a chiamarsi Pdl, finché durerà il governo Letta. di Barbara Romano

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