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I partiti si beccano 136 milioni, Movimento 5 Stelle compreso

Mentre si discute di taglio al finanziamento pubblico, i gruppi parlamentari hanno già ottenuto la prima tranche dei fondi 2013. Al M5S 7 milioni

Franco Bechis
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Altro che taglio: nelle casse dei partiti politici italiani nel 2013 finiranno almeno 136 milioni di euro, e a godersi quei soldi saranno tutti i protagonisti della vita politica, compreso Beppe Grillo. Il Movimento 5 Stelle infatti ha annunciato l'intenzione di rinunciare a 42 milioni di rimborsi elettorali nella legislatura, e quindi a 8,4 milioni di euro nel 2013. Quei rimborsi per altro non sono ancora stati versati a nessun partito, quindi al momento la rinuncia è soltanto verbale (avverrà: su questo M5S non ha mai barato). Però il movimento fondato da Grillo, come era già avvenuto in passato nei consigli regionali dell'Emilia Romagna e del Piemonte, ha già incassato la sua quota dei 42,34 milioni di euro arrivati ai partiti grazie ai gruppi parlamentari. Dai primi di maggio sono già arrivati infatti 25,4 milioni di euro deliberati dall'ufficio di presidenza della Camera e 16,9 milioni di euro deliberati dall'ufficio di presidenza del Senato. I due rami del Parlamento hanno infatti deciso di assegnare ai gruppi in questa legislatura circa 53,3 milioni di euro (32 alla Camera e 21,344 al Senato), e quei 42,34 milioni di euro sono la quota parte di questo primo anno di legislatura. Cifre ballerine - Dai fondi per i gruppi parlamentari su base annua al Movimento 5 Stelle arriveranno quindi circa 7 milioni di euro. La cifra è ballerina perché dipende dalle defezioni dei dissidenti che staccandosi portano con sé la quota di finanziamento destinata normalmente a finire al gruppo misto e alle sue componenti. I 42,3 milioni già arrivati nelle casse dei gruppi parlamentari a pochissimo dall'inizio della legislatura sono a tutti gli effetti un finanziamento pubblico ai partiti. Vero che una quota (55%) è destinata a pagare gli stipendi del personale che viene assunto dai gruppi, e siccome una parte consistente deve provenire da elenchi del personale già assunto nelle precedenti legislature, proprio i parlamentari di Grillo hanno fatto grandi polemiche per questa clausola, cui si sono adattati solo in extremis.  Ma anche con questa finalizzazione di parte della somma, almeno 24 milioni di euro all'anno sono puro finanziamento pubblico ai partiti politici, che possono usare quei soldi sostanzialmente come vogliono, dovendo compilare uno scarnissimo (e ipoteticamente fantasiosissimo) rendiconto solo da quest'anno. Il sistema del finanziamento dei gruppi parlamentari italiani, anche se assolto da Grillo & Co, è stato duramente censurato dalla task force anticorruzione della Unione europea. Nell'ultimo rapporto di quel gruppo (Greco) sull'Italia si sollevavano criticità in gran parte ancora irrisolte anche dopo la nuova presentazione della legge sui finanziamenti ai partiti del governo  Letta. «I partiti», scriveva il rapporto, «non sarebbero tenuti a registrare nei propri documenti contabili le informazioni concernenti i soggetti giuridici ad essi collegati, direttamente o indirettamente, o che risultino, in un modo o nell'altro, sotto il loro controllo (ad esempio fondazioni o associazioni politiche). Analoghe problematiche si pongono anche con riferimento ai gruppi parlamentari collegati ai partiti (gruppi parlamentari all'interno delle Camere, Consigli regionali, provinciali e comunali)». La task force europea - Gli ispettori della task force anticorruzione della Unione europea  sostenevano di avere «appreso che talvolta i gruppi parlamentari sostengono le spese per le attività del partito (consulenze, affitto di uffici e assunzione di personale di segreteria)» durante la loro inchiesta in Italia. Per questo motivo quei 42,3 milioni appena incassati sono considerati dall'Ue  un finanziamento diretto e pubblico dello Stato ai partiti, assai più dei rimborsi delle spese elettorali. Osservazioni spesso sventolate durante i dibattiti sui costi della politica, ma restate senza alcun seguito.  Esattamente come la richiesta -  inesaudita anche dal governo guidato dal presidente del Consiglio   Enrico Letta -  di costringere come avviene in tutta Europa i partiti politici a presentare bilanci consolidati con tutte le entrate e le spese di sedi nazionali, regionali, provinciali e comunali e includendo i conti trasparenti delle fondazioni politiche di riferimento. Ma quell'Europa che si invoca a proposito e a sproposito su tutto, rende tutti i politici italiani - nessuno escluso - improvvisamente sordi quando si tratta di mettere il naso dentro affari e affarucci del partito, del movimento, dell'associazione o della fondazione di riferimento. di Franco Bechis @FrancoBechis

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