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Santanché: Letta stia attento a Renzi

Salvatore Dama
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«Io capisco che c'è una smania giornalistica nel guardare la pagliuzza del Pdl...». ...Ma? «Ma qui il problema vero è la trave che c'è nel Pd. E si chiama Renzi». Matteo Renzi. «È la delusione più grande che ci sia stata negli ultimi anni della politica». Daniela Santanchè invita a guardare altrove. La miccia che rischia di far deflagrare il governo non è da cercare nello scontro, all'interno del Popolo della libertà, tra l'area governativa e gli ultrà berlusconiani, i falchi e le colombe. La vera minaccia è un'altra.  Il sindaco di Firenze?  «Lui». Ma non era il pupillo di Berlusconi?  «È vero che a un certo punto aveva acceso delle simpatie anche nel centrodestra. Ma oggi sta rivelando il suo vero volto».  Quale? «È un egoista. Che pensa solo a se stesso ed è devastato dall'invidia per Letta». Il premier è un avversario interno più ostico di Bersani.  «Letta è coetaneo di Renzi quindi non è rottamabile». Addio sfida generazionale. «E Renzi  che era partito per rottamare Bersani adesso invece sta rottamando il Paese. Il suo è  rancore. Non è  riuscito a diventare  il leader del partito né il capo del governo». E ora prova a sgambettare l'esecutivo con la sua truppa parlamentare? «Fa di tutto. Ma se fa cadere Letta, fa crollare il Paese». Letta non deve temere voi?  «Il mio appello al premier  è che non si metta all'inseguimento del sindaco di Firenze. Non stia dietro alle sue contraddizioni. Renzi era il “berlusconiano”, era quello che chiedeva alla sinistra di avere un programma politico e di lasciar perdere l'antiberlusconismo. Tutto ciò ai tempi delle primarie. Poi è successo che il Pd ha fatto il governo con il Pdl. E lui ha cambiato strategia». Un accordo che però  crea imbarazzi anche da voi. O no? «Non è vero che ci siano divisioni nel Pdl». Come le chiama?  «Quando il Pdl fa sentire la sua voce al governo non è per polemizzare.  Lo facciamo noi perché non vogliamo lasciare da soli i nostri ministri. Anzi, vogliamo dare più forza alla loro azione. Per questo pungoliamo il governo, perché vogliamo imporre le nostre posizioni». Finora siete stati poco incisivi? «Non direi.  Ricordo che  Letta, nel suo discorso di insediamento, ha citato tutti i nostri punti programmatici. Ma perché il premier non venga tirato troppo per la giacca dal suo partito -  un esercizio che un Pd in crisi di leadership fa quotidianamente -  anche il Pdl deve attuare una pressione uguale e contraria affinché la barra rimanga al centro». Però i vostri elettori non hanno apprezzato le larghe intese. Le Amministrative sono andate male per il Pdl.  «Paghiamo una cosa sola».  Quale? «I voti li prende Silvio Berlusconi. Alle Politiche  c'è in campo  lui. Ma quando non è direttamente impegnato paghiamo dazio.   Ecco perché dobbiamo strutturarci meglio». Cominciando dal doppio incarico del segretario? «Alfano è una persona di responsabilità e di buon senso. Sarà lui stesso a capire se sia un bene che il segretario del partito sia anche vice premier e ministro dell'Interno. O  se invece c'è bisogno di più separazione tra partito e governo. Per la fiducia che ha – sia quella di Berlusconi che la nostra – è una scelta che dovrà valutare solo lui».  Alfano e Schifani hanno «tradito» Berlusconi? Speravano nella sua uscita di scena? «Guardi, io faccio la vita di partito, poi ci sono tante cose che gli altri vedono dal di fuori e che raccontano in un altro modo. Non mi appassiono e non condanno. Ma è gente che non vive il partito». Berlusconi è il campione della campagna elettorale. Ma se un giorno arrivasse l'interdizione dalle cariche pubbliche? «Io mi auguro che tutti capiscano che ci vuole pacificazione in questo Paese. L'aggressione giudiziaria è ormai ridicola, pesante e sofferente per Berlusconi. Ma è anche la gente che non ne può più. Che non capisce i motivi di tanta pervicacia da parte di alcuni giudici. Neanche Al  Capone ha avuto tanti processi e tante intercettazioni».   Ma se fosse condannato? Il governo sopravviverebbe? «È un'eventualità a cui non voglio pensare,  vorrebbe dire condannare a morte questo Paese».  

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