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Berlusconi difende i "traditori"Alfano e Schifani dal clan Santanché

Renato Schifani e Angelino Alfano

Salvatore Dama
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«Il voto sulle riforme parla da solo». A conclusione di due giorni difficili, Angelino Alfano può tirare un sospiro di sollievo, mettendo l'accento sul sostegno «univoco» dato dal Pdl alla mozione di maggioranza che avvia il percorso delle riforme costituzionali. Ma quanta fatica. Martedì è servita una discussione infinita, proseguita fino a notte, per sedare le voci critiche all'interno del gruppo parlamentare. Ha vinto l'area filogovernativa, rappresentata dai ministri azzurri che siedono in Consiglio. Però questa alleanza con il Partito democratico sta stretta a tanti. La mozione del renziano Roberto Giachetti - in sostegno del ritorno al Mattarellum - poteva essere il casus belli. E non lo è stato. Eppure gli ultrà pidiellini continuano a sottolineare i «continui tranelli» tesi dalla sinistra. Che, a onor del vero, ieri ha arginato l'iniziativa del “dissidente” Giachetti e ha tenuto fede alla linea della maggioranza. Sicché l'ira dei berluscones è finita per concentrarsi altrove,  su alcune dichiarazioni di Massimo D'Alema. «Con un interlocutore così (Berlusconi, ndr), non si sa il destino del governo in che misura è certo». Parole «meschine», secondo Renato Brunetta. Il governo Letta è «nato proprio grazie a Berlusconi», ricorda Daniela Santanchè. Ma se l'accanimento giudiziario prosegue, «non si può pretendere che il Pdl rimanga inerte».      In serata la temperatura a via dell'Umiltà scende un po'. D'altronde in mattinata aveva toccato i 212 gradi Fahrenheit. Il ministro dell'Interno Angelino Alfano trasecola alla lettura del Giornale. Stessa reazione anche al Senato, dove sfoglia i quotidiani il capogruppo del Pdl Renato Schifani. Entrambi sono «offesi» dalla evidenza offerta alla anticipazione del libro di Gigi Bisignani, dove si sostiene che Alfano e Schifani abbiano tramato per l'uscita di scena di Berlusconi. Quella definizione, «i due Giuda siciliani» è davvero troppo. Il segretario del Pdl raggiunge telefonicamente il Cavaliere, che è in settimana-relax in Sardegna. Gli manifesta tutto il suo rammarico e si dice pronto a farsi da parte. Non può pensare che Silvio abbia  messo in dubbio la sua lealtà. È troppo. La situazione costringe  l'ex premier a rompere il silenzio che si era imposto in questi giorni. «Desidero rinnovare la mia fiducia totale a Renato Schifani, ad Angelino Alfano e agli altri amici chiamati in causa, perché mai mi hanno fatto mancare, anche nei momenti più delicati, il loro sostegno».  A loro, prosegue il Cavaliere, «sono legato ormai da molti anni da una stima, da un'amicizia e da un affetto che non sono mia venuti meno». Solidarietà anche da Sandro Bondi. Che critica «il profilo inutilmente provocatorio» e «a tratti sguaiatamente aggressivo» assunto dalla stampa “amica”.      In realtà, l'attacco, più che a una scelta editoriale, è a una posizione incarnata dall'area dei cosiddetti falchi del partito. Che continua a chiedere la fine del doppio incarico di Alfano.  Ma Berlusconi, pur condividendo molte delle posizioni dell'area più dura, ha chiesto cautela. Ogni altra alternativa a questo governo, è la riflessione fatta da Silvio, risulterebbe essere più sfavorevole per il Pdl. Dunque avanti. Ma non con «le chiacchiere», con i «fatti concreti». E cioè con l'attuazione del programma proposto dal leader del centrodestra agli elettori: Imu, riforma del fisco, sostegno alle imprese. Poi, è l'auspicio della fazione non governativa, se precipita la vicenda giudiziaria, Berlusconi non starà lì a farsi infilzare. Ecco perché, spiegano, Silvio ha chiesto di rallentare il dibattito sulla legge elettorale. In caso di elezioni anticipate, accaparrarsi il mega-premio di maggioranza che assicura il Porcellum è una tentazione troppo forte per chi è dato come favorito nei sondaggi.

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