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Se Letta cade, ci tocca Grillo: i quaquaraquà dovrebbero tacere

Giampaolo Pansa

Invece di sostenere il governo, nel Pd e nel Pdl molti si smarcano e remano contro. Senza pensare alle consueguenze

Andrea Tempestini
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    di Giampaolo Pansa Violenza e paura. È fatta di questi due veleni la flebo iniettata ogni giorno nelle vene di un'Italia che rischia di finire in coma. Del primo veleno il Bestiario si occupa da molto tempo. Chi mi segue rammenterà le mie prediche inutili sulla guerra civile verbale pronta a diventare un conflitto fisico. Mentre scrivevo questa rubrica un amico mi ha informato che, nella notte tra venerdì e sabato, a Roma il candidato sindaco di una piccola formazione di destra,Casapound, era stato aggredito a colpi di piccone. Per il riflesso tipico dei giornalisti anziani mi sono subito ricordato di un'altra epoca che ritenevo finita per sempre.  L'epoca era quella brutale che avevo vissuto, e raccontato, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta. Allora lavoravo a Milano per la Stampa  di Alberto Ronchey. E senza che né lui né io l'avessimo deciso, sono stato costretto a diventare il cronista di una sequenza infinita di crimini politici. Qualche lettore di Libero  si ricorderà di quel clima fetido, conseguenza fatale del Sessantotto studentesco e dell'autunno caldo nelle fabbriche.  Milano era percorsa di continuo da cortei violenti che quasi sempre sfociavano in scontri con la polizia. Giovani di sinistra e di destra si combattevano a colpi di spranga e di chiavi inglesi. Qualcuno ci rimetteva la pelle. Come  Sergio Ramelli, un ragazzo di diciannove anni ritenuto a torto un fascista manesco e accoppato per strada da una squadraccia rossa. Fu una tempesta gonfia di livore e rancori che ci regalò la strage di piazza Fontana e poi la nascita del terrorismo brigatista.  È una storia destinata a ripetersi? Mi auguro di no. Eppure i sintomi ci sono. In valle di Susa l'opposizione alla Tav è sfociata in una guerriglia permanente che rasenta il terrorismo. Nelle piazze può accadere di tutto. E in qualche caso accade già, di solito per le violenze di gruppi antagonisti collocati a sinistra. Sempre più aggressivi e pronti a vere e proprie battaglie di strada.  Lo si è visto anche a Brescia, durante il comizio di Silvio Berlusconi. E in quel caso la polemica tra i partiti ha dimenticato un aspetto di estrema gravità che andava sottolineato: gli ultrà rossi avevano tentato di impedire una manifestazione elettorale protetta dalla Costituzione. Da quel giorno, il Cavaliere ha rinunciato a parlare in pubblico. Molti non se ne rendono conto, o ne sono addirittura contenti. Ma è un limite pesante alla libertà di parola, il fondamento di qualsiasi democrazia.  In questo 2013 la violenza s'incrocia con la paura. L'Italia attraversa la più pericolosa delle tante crisi che ha vissuto dal dopoguerra in poi. Nel volgere di pochi mesi siamo diventati un paese e una società che non riconosciamo più. Come accade con le streghe del “Macbeth”, il bello è diventato brutto. Scopriamo di essere poveri, con le aziende che chiudono una dopo l'altra, con molte famiglie in difficoltà, tanti  disoccupati e una moltitudine di giovani che non trovano lavoro.  È uno scenario da incubo. Reso ancora più grave dal rischio di non saper fronteggiare queste difficoltà per grandi che siano. Abbiamo perso una virtù che è sempre stata decisiva in momenti come questi: il coraggio, la voglia di reagire, la capacità di non disperarsi, di avere un minimo di fiducia in noi stessi. Non vediamo il pericolo mortale che sta in agguato: diventare una nazione avvilita e senza futuro.   Chi potrebbe aiutarci a evitare questa fine? La politica, prima di tutto. Ma le condizioni odierne dei partiti sono un fattore di malattia e non il rimedio. È stato messo in sella un governo che in Italia non aveva precedenti. Vede insieme i due blocchi che si erano sempre combattuti: la sinistra e la destra. Lo guida un galantuomo coraggioso come Enrico Letta e al suo fianco c'è Angelino Alfano, un altro galantuomo di coraggio. Si sono incontrati per volontà di Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica. E hanno deciso di lavorare insieme nel tentativo di arginare la crisi e di evitare il fallimento dell'Italia.    In un paese normale che cosa farebbero i due partiti che esprimono il governo Letta-Alfano? Lo metterebbero sugli altari, pronti a sostenerlo ogni giorno, ogni minuto. Ma da noi succede il contrario. Tanto nel Pd che nel Pdl emergono di continuo i malpancisti, quelli che farebbero carte false pur di provocare la fine di un esecutivo appena nato. Posso dirlo? È uno spettacolo che mi disgusta. Lo considero meschino, vile, suicida. Perché accade? Il motivo è chiaro. Tanto a destra che a sinistra, esiste una nomenklatura che si preoccupa soltanto del proprio miserabile interesse di bottega. È una truppa di parassiti e di accattoni che se ne fottono della sorte dell'Italia. Il loro unico obiettivo è restare a galla, non essere espulsi dal palazzo, conservare a tutti i costi i loro privilegi e il tesoretto elettorale che ritengono garantito per sempre. Diciamo la verità: all'interno dello stesso partito esistono due tipi di politici. Quelli che reggono la croce del governo. E gli altri, i quaquaraquà che guardano soltanto alle elezioni che, prima o poi, si terranno.  I quaquaraquà fanno di tutto per rendere difficile la vita del governo Letta-Alfano. Gli gettano tra le gambe un ultimatum dopo l'altro. Si impegnano al massimo per rendere più difficile l'intesa tra i due blocchi. Scommettono sul fallimento di questo estremo tentativo per tenere a galla la barca. Il loro obiettivo è seminare il panico, con l'illusione di ricavarne un pugnetto di voti in più.  In questo gioco al massacro, certi big di sinistra e di destra non si rendono conto di essere diventati i servi sciocchi del loro nemico vero, Beppe Grillo. Il duce delle Cinque stelle dovrebbe versargli su un conto all'estero un buon compenso per il loro lavoro di kamikaze. Veri e propri piloti suicidi che si lanciano con l'aereo sulla propria nave. Ma i servi sciocchi non si rendono conto che, se mai Grillo vincerà, le prime teste a cadere saranno proprio le loro.  Un discorso analogo va rivolto ai media. Ho le carte in regola per farlo. È da decenni che mi batto per l'autonomia dell'informazione. In tre epoche diverse, ho persino scritto tre libri per difendere la libertà di stampa e indicare con nome e cognome i poteri che la insidiavano. Ma oggi mi domando se non ho buttato via tempo e fatica. Forse avrei dovuto dedicarmi a pubblicare romanzi porno.  Per i giornali di questo 2013 ho una domanda. Censurare le notizie sgradite è un delitto. Vanno stampate tutte. Ma il loro contesto è decisivo. È sacrosanto scrivere che Gesù Cristo è morto in croce, però mi chiedo se si debba farlo rallegrandosi della sua fine. Me lo chiedo anche a proposito di Libero. Che senso ha stampare grandi titoli come “Il governino”, “La favoletta”, “Il governo c'è, i soldi no”, “Letta non dura”, “Letta scade il 31 agosto”? Qualcuno potrebbe rispondermi che nessun governo è mai caduto per dei titoli di giornale. È vero. Ma è altrettanto vero che, se il governo Letta-Alfano finisse gambe all'aria, il seguito sarebbe orribile anche per i media. Nessun altro governo, possibili dimissioni di Napolitano, scioglimento delle Camere appena nate, nuove elezioni. Dopo una campagna elettorale all'ultimo sangue, costellata da un'infinità di violenze.  Certo, i tifosi del centrodestra sarebbero felici del ritorno a Palazzo Chigi del mitico Cavaliere. Ma anche le sue doti magiche non cambierebbero lo scenario di rovine che vedrebbe dalla finestra del suo studio di premier. Ammesso, e non concesso, che la finestra ci fosse ancora.    

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