Pansa: Le sette fatiche del traghettatore Epifani
Anti-berlusconismo, faide, alleati, paura di perdere e di essere irrilevanti: ecco i nodi che attendono il traghettatore di un Pd in agonia
di Giampaolo Pansa Fare il reggente di qualsiasi impresa non è un mestiere facile. Soprattutto se devi reggere un partito politico in crisi, dove tutti si scannano e volano gli stracci, mentre il futuro sembra avere un solo colore, quello della sconfitta. Per questi motivi bisogna stare attenti a non sbagliare nella scelta di chi dovrà portare la croce della reggenza. Un incarico a termine, destinato a essere il parafulmine di tutti gli scontenti. Il terremotato Pd ha affibbiato questo peso a Guglielmo Epifani. E forse non ha sbagliato. Il Reggente è un signore in apparenza grigio che in marzo ha compiuto 63 anni. Oggi di lui si ricorda che è stato il segretario generale della Cgil, ma nelle biografie dei media non si va molto più in là. Posso aggiungere qualche dettaglio? Ricordo Epifani quando era segretario dei poligrafici Cgil di Milano. Allora il suo amico del cuore, e forse anche maestro, era Walter Tobagi, il giornalista del Corriere assassinato nel 1980 dalla banda di Marco Barbone. Entrambi erano socialisti e cattolici. E dunque malvisti dall'area radicale di via Solferino. Epifani si iscrisse ai Ds dopo la morte del Psi di Craxi, distrutto dalle inchieste di Mani pulite. Era contrario alla nascita del Partito democratico e nel 2007, all'ultimo congresso dei Ds a Firenze, disse no alla nascita della nuova parrocchia. Il secondo governo Prodi, allora in sella, non gli piaceva. Rinfacciò al Professore una politica che riteneva sbagliata perché faceva crescere il malessere sociale e calare i voti. In quel momento dirigeva la Cgil da cinque anni. E da segretario si dimostrò un capo assennato, mediatore accorto tra le diverse anime del colosso sindacale. Mi dicono che Epifani sia più o meno rimasto così. Leggi il Bestiario di Giampaolo Pansa su Libero in edicola domenica 12 maggio