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Basta col femminicidioperché nessuno parla dell'androcidio?

Uccidere una donna non può essere considerata un'aggravante perché introduce una discriminazione di genere che è contro la Costituzuione

Lucia Esposito
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Filippo Facci  Questa cosa del femminicidio ha veramente rotto. Un conto è registrare un fenomeno allarmante o in crescita (che poi è in calo, ma sono migliorati gli strumenti per censirlo) così come un conto è denunciare una casistica che si ritiene sottaciuta, culturalmente odiosa, legislativamente sguarnita; in tal caso le associazioni serie (da distinguere da quelle stracciavesti, «No more», «Feriteamorte», «Senonoraquando») possono fare opera di sensibilizzazione, ottimo. Ben altro conto, però, è la pretesa idiota che il «femminicidio» possa costituire un'aggravante dell'omicidio o addirittura un reato a parte, il che introdurrebbe una discriminazione di genere che è contro la Costituzione. Il punto non è che il fenomeno è in costante diminuzione e che gli uomini ammazzati sono più del doppio delle donne (il rapporto è 7 a 3) ma che dobbiamo piantarla di muoverci per emergenze che inducano a legislazioni improvvisate da gettare in pasto all'opinione pubblica, come già accadde per gli stupri. Non servono ennesimi «pool specializzati»: basta una magistratura che funzioni. Non serve una nuova legge, anche se tutto è migliorabile e affinabile: la legge c'è già, e punisce l'omicidio. Servono risorse e soldi: ma per tutta la giustizia. È pure inutile, come ha fatto il Guardasigilli, evocare quei «braccialetti» che lo Stato ha già comprato (400) e che giacciono in qualche armadio del Viminale assieme a tante emergenze già dimenticate.  

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