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Il "governino" di Lettaspinge a sinistra il Pd:Fassina il "reggente"?

Stefano Fassina

Nella distribuzione degli incarichi nell'esecutivo, l'ala ex Ds dei democratici sparisce. La contropartita potrebbe essere la guida del partito

Andrea Tempestini
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  di Elisa Calessi «E adesso il partito se lo prendono i Ds». Questo è il primo commento che si faceva nelle retrovie del Pd, non appena Enrico Letta, uscendo dallo studio di Giorgio Napolitano, finiva di leggere la lista dei ministri del suo nuovo governo. Il più democristiano della Seconda Repubblica, ma anche il primo della nuova era, post-bersaniana del Pd. La parte del leone dell'esecutivo «di servizio al Paese», come lo ha definito il neo-premier, la fanno, infatti, esponenti di provenienza ex popolare. Oltre al premier, ci sono Dario Franceschini al ministero per i Rapporti con il Parlamento e il renziano Graziano Del Rio, attuale presidente dell'Anci, agli Affari Regionali. Tutti e tre cresciuti nella giovanile della Dc, poi passati al Ppi, nella Margherita e nel Pd. Vicina a Letta è anche Maria Chiara Carrozza, neo-parlamentare e Rettore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Per questo in molti ieri sera erano convinti che il segretario reggente del Pd sarà Stefano Fassina, esponente dell'ala più a sinistra del partito ed escluso all'ultimo momento dal governo. La componente Ds è rappresentata sì, ma da Andrea Orlando, al ministero dell'Ambiente, espressione dei Giovani Turchi, nati proprio in contrapposizione con la vecchia guardia diessina e dal sindaco di Padova Flavio Zanonato, allo Sviluppo Economico, bersaniano e celebre per posizioni tutt'altro che ortodosse (è salito agli onori delle cronache per posizioni molto intransigenti nei confronti degli immigrati clandestini). Due personalità che certo non rappresentano la componente storica diessina, quella dalemiana.  E dire che l'ex premier fino all'ultimo era in gioco per la Farnesina. Invece non solo non è entrato nella lista definitiva, ma non ha nell'esecutivo nessun uomo di sua diretta emanazione. L'unico nome a lui vicino, che probabilmente ha suggerito, è quello di Massimo Bray, neo-deputato del Pd, direttore editoriale dell'Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani e collaboratore della fondazione Italianieuropei. Così come sono assenti da questo governo personalità legate all'altro dioscuro della sinistra italiana, Walter Veltroni. Anche se si potrebbe considerare riferibile al primo segretario del Pd l'ex olimpionica Josefa Idem. Ma certo non è paragonabile al peso di un Franceschini o di un Delrio, big delle rispettive componenti.  Restano a secco anche Rosy Bindi e Beppe Fioroni, che fino a qualche mese fa erano leader di correnti che formavano il patto di sindacato che guidava il Pd. Punteranno, come risarcimento, ad avere sottosegretari e presidenze di commissioni. Il governo Letta, insomma, non solo segna una nuova stagione nel Paese, ma fotografa l'inizio di una nuova fase nel Pd, in cui il «salto generazionale» è compiuto (è esclusa per la prima volta la generazione del '68) e dove comanda un nuovo patto a quattro: lettiani, renziani, franceschiniani e turchi. Nei prossimi mesi si vedrà se questo è un segno di forza o di debolezza. Le ex correnti - dalemiani, popolari e bindiani - infatti, non sono scomparse, come si è visto nella vicenda della mancata elezione di Marini e di Prodi. Bisogna vedere quanto pesano ancora e se decideranno di ostacolare il governo dei 40enni.  Una prima conseguenza del nuovo equilibrio, comunque, già si vedrà nell'assemblea del 4 maggio, quando si dovrà scegliere chi sarà il segretario reggente fino al congresso. Salgono a questo punto le quotazioni di Fassina, il quale fino all'ultimo era dato in ingresso nel governo, mentre pare gli sia stato preferito Zanonato , in quota Bersani. Se il governo pende verso il centro, il partito, è il ragionamento, deve spostarsi a sinistra, per non perdere il consenso della base del partito, già in subbuglio per la nascita di questo governissimo. Il che potrebbe essere un problema per Matteo Renzi, nel caso decida di correre per la segreteria del partito. L'altra caratteristica che può creare problemi a Letta è che, a parte Franceschini, non ci sono big. Una scelta che punta a non coinvolgere eccessivamente il Pd in questo esperimento, ma che indebolisce il nuovo premier. Se il Pdl, infatti, è legato mani e piedi a questo esecutivo, avendo messo in campo big come Alfano e Lupi, il Pd sembra esserci con una riserva in più. Del resto se ci saranno dissensi nel voto di fiducia saranno quasi tutti proprio nel Pd. Per ora la frangia di chi non vuole votare questo governo è ridotta a una decina di nomi o poco più, tra cui Pippo Civati, Laura Puppato, Corradino Mineo. Ma, sono convinti in molti, si ridurranno ulteriormente. I veri problemi, per Letta, verranno dopo. E proprio da chi lunedì voterà la fiducia.  

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