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Pd, Renzi: "Berlusconi non mi ha voluto premier. Partito ricompattato su di me"

Renzi e Berlusconi

Parla il sindaco: "Silvio ha avuto paura del voto subito". Su Prodi: "Sono stato l'unico con cui non se l'è presa"

Giulio Bucchi
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Il veto del Cavaliere su Renzi premier. A confidarlo, a Corriere della Sera e Repubblica, è lo stesso Matteo Renzi. "Io non sono in corsa - ha rivelato subito dopo la tribolata direzione del Pd di martedì pomeriggio -, ma non è stato Bersani a mettere il veto sul mio nome. Lui non ha avuto alcuna obiezione su Letta come su di me. Né tantomeno Napolitano", smentendo così le voci che davano un Quirinale scettico su un incarico a Palazzo Chigi troppo importante per darlo al sindaco di Firenze. "La mia impressione è che è che, se c'è un veto, sia di Silvio Berlusconi". Che, sempre secondo indiscrezioni, sarebbe stato l'unico delle delegazioni salite al Colle per le consultazioni lampo con il presidente a fare un nome: quello di Giuliano Amato. L'equivoco di fondo, spiega il rottamatore, è la sua presunta vicinanza con il leader Pdl. Con Berlusconi, lui non ha mai chiesto un'alleanza obbligatoria. "Ho semplicemente detto: basta perdere tempo; decidiamo: con Grillo l'accordo è impossibile, e mi pare che le cose da lui dette in questi giorni lo confermino; o facciamo un accordo con Berlusconi, o andiamo a votare". "Berlusconi ha avuto paura. Paura di andare al voto subito - scrive Aldo Cazzullo sul Corsera, citando Renzi -. Ma io non ho fretta. Magari si vota tra sei mesi. Magari il governo decolla e va avanti due anni, anche tre. Posso aspettare. Il vero dato della giornata per me è un altro. Ed è stata una giornata davvero inconsueta". "Pd ricompattato su di me" - La giornata "inconsueta" ha visto i principali leader democratici in direzione convergere su un punto: "escludere" Renzi dalla rosa del toto-premier dopo averlo "candidato" per almeno metà giornata. Lui, però, non ci vede malizia ma, al contrario, un segnale positivo: "Per la prima volta gran parte del Pd si è ricompattata sul mio nome. Non era mai successo. Il primo ad avere l'idea di propormi per la presidenza del Consiglio è stato Fassino. Uno a uno, gli altri si sono detti d'accordo. Era d'accordo Walter (Veltroni, ndr), era d'accordo Franceschini. In direzione il mio nome è stato fatto esplicitamente da Umberto Ranieri (vicino a Napolitano, ndr), segno che le perplessità non erano certo del presidente. Mi ha fatto piacere che Orfini e gli amici che voi giornalisti chiamate i turchi si siano pronunciati in mio favore, e non da oggi". Sono la sua "generazione", così come Debora Serracchiani, anche lei a favore di Renzi premier dopo una capriola notturna. La verità è che Renzi, nonostante martedì si fosse schernito definendo la propria candidatura come "la meno probabile", non aveva paura di "bruciarsi" diventando premier con una maggioranza così eterogenea: "A me piace rischiare. E, se il capo dello Stato chiama, come fai a dirgli no?". "M'ispiro a Tony Blair" - Insomma, l'ambizione è solo rinviata. D'altronde, lo ribadisce poi a La Stampa e ad altri giornali internazionali (dal francese Le monde allo spagnolo El Pais), lui si ispira a Tony Blair: "Voglio cambiare l'Italia, trasformarla in uno smart country. E sulle politiche economiche internazionali ho sempre pensato che avremmo dovuto seguire la strada del rigore perché va bene a noi, non perché va bene ad Angela Merkel". Il futuro, non solo l'età (38 anni), a sinistra è dalla sua. Con Massimo D'Alema c'è un patto di non belligeranza, con Romano Prodi è tutto liscio ("Non ho nulla da rimproverarmi. I miei l'hanno votato tutti, tranne uno, credo anche di sapere chi è. Sono stato l'unico con cui Prodi non se l'è presa. Conservo gli sms che mi ha mandato prima, durante e dopo la votazione in cui è stato affossato. E li conserverò per sempre, perché Prodi è stato molto carino con me, pure nel momento più nero. L'ho appoggiato con convinzione, anche se questo mi ha fatto perdere qualcosa nell'elettorato del centrodestra".

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