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Le schede pizzino sul Quirinale per il voto di scambio

Pieghe varie, iniziali di nomi e cognomi, persino fotografie: i parlamentari si sono ingegnati per segnare i fogli e rendere riconoscibile la preferenza data

Giulio Bucchi
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di Marco Gorra E poi c'è qualcuno che ha il coraggio di dire che la politica è lontana dal Paese reale. L'unica differenza tra Montecitorio e certi seggi elettorali del profondo Sud è che a Montecitorio non c'era quello che dopo passa a distribuire i pacchi di pasta. Per il resto, funziona come nella morsa del degrado: gente che fotografa le schede, elettori che si premurano di rendere riconoscibili i propri voti, cordate che cercano di sabotare i meccanismi di riconoscimento del voto di altre cordate (però ostili) onde far passare per traditore chi non lo è, voto di scambio a go go. Ora, da che mondo è mondo quando c'è da eleggere il presidente della Repubblica si ricorre a certi trucchetti per rendere tracciabile il voto. I gruppi parlamentari si mettono d'accordo: io scrivo nome e cognome, tu scrivi cognome e nome, lui scrive iniziale e cognome e così via. Alla fine, si contano i voti per ciascuna formulazione e si vede chi si è comportato come. Alle volte si sono scelti modi più spicci (memorabile l'elezione di Cossiga presidente del Senato con gli elettori che gli passano davanti sventolando la scheda), ma non ci si è mai scandalizzati più di tanto. Stavolta, vuoi per la caoticità degli eventi vuoi per come il Palazzo ha colmato il digital divide, si è però fatto un salto di qualità mai visto. Teatro degli psicodrammi più notevoli il terzo scrutinio, quello che ha impallinato Romano Prodi: tensione altissima, fosche previsioni di franchi tiratori che si rincorrono fin dal mattino, sfiducia reciproca alle stelle. Per rendersi conto del clima soccorre il caso Sel. Quelli di Vendola avevano votato Rodotà contro Marini e, nonostante le promesse di votare Prodi, sono visti con sospetto. Che si trasforma in orrenda certezza quando dalle urne escono 46 schede con scritto «S. Rodotà». Gli elettori di Sel essendo 46 e firmandosi essi iniziale più cognome, la prova del tradimento sembra solare. E invece colpo di scena, dato che ci sono anche 46 schede marchiate «R. Prodi». Il mistero si infittisce, fino al clamoroso scioglimento: i 46 elettori di S. Rodotà erano altrettanti franchi tiratori del Pd goffamente mascheratisi da vendoliani col vano intento di far passare per Giuda i colleghi di Sel. Quelli più esperti, intuita la situazione, capiscono che è il caso di tutelarsi ulteriormente. Così, matita in una mano e smartphone nell'altra, popolari e giovani turchi fotografano le proprie schede prima di infilarle nell'urna. La prova per tabulas dell'avvenuta obbiedenza sarà mostrata con ripetuta disinvoltura a colleghi e cronisti per tutto il resto della giornata. Persino i franchi tiratori non sfuggono alla regola: i cecchini dalemiani si votano Rodotà (tranne un genio che vota Massimo Prodi), mentre quelli di altre parrocchie significano la propria consistenza convergendo su Anna Maria Cancellieri. Anche la votazione di ieri, che pure forniva tutte le garanzie di questo mondo sul piano dei numeri, è stata allietata da episodi simili. Nel Pd, preda di comprensibile stress post-traumatico da fuoco amico, giravano indicazioni su come piegare la scheda in maniera diversa da tutti gli altri e così fornire un metodo scientifico all'identificazione dei consensi medesimi. I montiani, sospettati di voler scrivere Cancellieri nel segreto dell'urna, marcano i propri voti «Napolitano G.» affinché chi di dovere veda che i conti tornano. E magari mandi due pacchi di pasta.

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