Pd, partito in frantumi: si dimettono tutti i bersaniani, Vendola e Barca si organizzano e Renzi...
di Sebastiano Solano Il terremoto che ha travolto il Pd si è concluso con fiume di lacrime: quelle, copiose, scese sul volto di Pierluigi Bersani subito dopo l'annuncio dell'avvenuta elezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Lacrime di gioia per il compagno Giorgio messo ancora a presidiare il Colle più alto, certo, ma anche amare, poichè quell'applauso che ha scandito la proclamazione di Napolitano rappresentano il proprio fallimento politico. E quello del Pd, almeno per come l'abbiamo consociuto finora. La sinistra si riorganizza - Lettiani, dalemiani, renziani, vendoliani e grillini del partito hanno dato vita in questi giorni ad una serie di faide e scontri interni che li ha visti tutti sconfitti. Come i 10 piccoli indiani, qui ha ragione Beppe Grillo. Sul cadavere ancora fumante di un partito, che a ben vedere non è mai nato veramente, sguazzano ora avvoltoi della politica provenienti da ogni latitudine: la sinistra è stata la prima mobilitarsi e per farlo ha scelto il giorno dell'elezione del nuovo capo dello Stato. Ha iniziato Nichi Vendola, che ha sacrificato l'alleanza con i democrats per appiattirsi sul candidato del M5S, Stefano Rodotà, nella speranza di raccattare qualche elettore deluso dal Pd. D'altra parte, Vendola ha già annunciato la nascita di un partito per l'8 maggio, e lo ha detto chiaramente: sarà un partito aperto "a tutti i delusi del Pd". E' stato poi il turno di Fabrizio Barca, tesserato da qualche giorno con il Pd, che ha twittato il suo endorsement a favore di Rodotà. Anche lui, qualche giorno fa, ha presentato un documento programmatico che odora di vecchio Pci. Renzi e Bersani hanno fallito - Matteo Renzi, un altro sconfitto della battaglia per il Quirinale, non sa più che pesci pigliare: Romano Prodi era il suo candidato, era convinto che si sarebbe tornati presto alle urne, ha da settimane messo in moto la sua macchina elettorale. Ma il piano è fallito e ora è fermo al palo. I vincitori di questa battaglia sono gli ex-popolari di Enrico Letta e la corrente che fa capo a Massimo D'Alema. I bersaniani contano ormai poco nel partito: il segretario si è dimesso e con lui tutta la sua segreteria, composta da fedelissimi di Bersani come Stefano Fassina e Matteo Orfini. Il congresso si terrà a breve ma sarà solo una formalità: le posizioni in campo, come dimostra il movimentismo di Vendola e Barca, sono chiare, il Pd si scinderà in almeno due partiti. La vittoria di dalemiani e lettiani, d'altro canto, è solamente personale. Faranno un altro giro di giostra, ma il Pd non esiste più. Bersani piange: il Pd è finito - E le lacrime di Bersani lo evidenziano come meglio non si potrebbe: una cosa che al segretario va riconosciuta, infatti, è che per tenere in piedi il partito ha fatto di tutto. E' il maggior responsabile dello stallo istituzionale e politico in cui ci troviamo da due mesi. Ma il tutto è stato anche la conseguenza dei tentativi, estremi, di Bersani di ricomporre le fratture che attraversano il Pd. Ha persino accettato la candidatura di Franco Marini al Quirinale, che non era certo il suo candidato, nel tentativo di salvare il Pd. Ma ha fallito, su tutta la linea. Così com'è fallito il progetto di un grande partito socialdemocratico, come era il Pd nelle intenzioni.