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Pd, Bersani si è dimesso. La Bindi lascia e lo "scarica"

Giulio Bucchi
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di Claudio Brigliadori Una tragicommedia democratica. Dopo ore di voci e smentite, ecco l'atto definitivo: Pierluigi Bersani si è dimessp dalla segreteria del Partito democratico, carica assunta nel novembre 2009. "Uno su quattro di noi ha tradito. Per me è inaccettabile", è stato il suo duro attacco all'assemblea del Pd, convocata in fretta e furia dopo lo choccante esito della quarta votazione di oggi per il Quirinale, con l'autosiluramento del candidato democratico al Colle Romano Prodi. Un affossamento che ha seguito di 24 ore quello di Franco Marini. "Abbiamo prodotto una vicenda di una gravità assoluta - ha riconosciuto Bersani -. Sono saltati meccanismi di responsabilità e di solidarietà. Oggi è stata una giornata drammaticamente peggiore di ieri". Una situazione insostenibile per il segretario: "Per me è troppo. Consegno all'assemblea le mie dimissioni. Operative da un minuto dopo l'elezioni del Presidente della Repubblica", giusto per non gettare in caos ulteriore un Parlamento mai così tanto diviso per bande, soprattutto a sinistra. "Continuerò a dare una mano -  è l'impegno dell'ormai ex segretario -. I capigruppo con me devono da subito contattare le altre forze politiche per trovare una soluzione definitiva sul Quirinale. Noi da soli il Presidente della Repubblica non lo facciamo".  Due mesi di fallimenti - Perlomeno Bersani potrà vantarsi con gli amici rimastigli, in un bar di Bettola, di aver sbagliato ogni scelta tattica nel giro di un paio di mesi. Arrivato alle urne del 24-25 febbraio da vincitore annunciato, lo smacchiatore di giaguari è riuscito a ribaltare ogni pronostico a suo favore: formare un governo con i 5 Stelle? No. Condurre le danze con Crimi e la Lombardi in diretta streaming? No, umiliato. Obbligare Napolitano a farlo andare alle Camere? Nemmeno. Ultimo capolavoro: individuare un candidato presidente della Repubblica condiviso o, perlomeno, votabile dal proprio partito. Non c'è riuscito con Franco Marini, nel segno dell'accordo col Pdl maldigerito da metà del Pd, e non c'è riuscito recuperando lo stesso Romano Prodi, il fondatore del centrosinistra como lo conosciamo oggi. Il professore, al quarto turno a Montecitorio, ha incassato un'umiliante batosta, con 395 voti lontani anni luce dai 504 necessari all'elezione al Colle. A impallinarlo non i vendoliani di Sel ma i dalemiani e gli ex margheritini, delusi questi ultimi per la "porcata" consumata ai danni di Marini. Merito, evidentemente, proprio di Bersani che mai come in questi giorni ha perso il polso del partito che guida.  La Bindi lascia e attacca - Ora si apre una resa dei conti disperata, all'ultimo sangue. Ha vinto, almeno in questo, Matteo Renzi che vorrebbe andare al voto il prima possibile sfidando quel che resta della leadership democratica. Usciti dall'esperienza traumatica di questa legislatura mai iniziata, i democratici forse non avranno nemmeno la forza di fare le primarie. Per uscire dall'incubo bersaniano, val bene anche un Renzi subito, senza più discussione. Ammesso che il Partito democratico, tra qualche settimana, ci sarà ancora. Lascia anche Rosy Bindi, che ha annunciato le sue dimissioni da presidente dell'Assemblea Nazionale: "Il 10 aprile ho consegnato a Pierluigi Bersani una lettera di dimissioni da presidente dell'Assemblea nazionale del Pd. Avevo lasciato a lui la valutazione sui tempi e i modi in cui rendere pubblica una decisione maturata da tempo. Ma non intendo attendere oltre. Non sono stata direttamente coinvolta nelle scelte degli ultimi mesi nè consultata sulla gestione della fase post elettorale e non intendo perciò portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd in questi giorni, in un momento decisivo per la vita delle Istituzioni e del Paese".  Bisognerà attendere l'elezione del presidente della Repubblica, forse, per uscire dall'emergenza dell'impasse istituzionale ed entrare nell'emergenza, tutta interna, del Partito democratico.

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