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Bossi, lasciare la Lega non conviene:ci rimetterebbe 500mila euro...

Umberto Bossi

Il Carroccio gli paga mezzo milione l'anno in auto e staff per 24 ore su 24. E tra i benefit spunta anche la scuola della moglie, Manuela Marrone

Andrea Tempestini
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  di Matteo Pandini Umberto Bossi ha più di 500mila motivi per non lasciare la Lega. Ammonta a circa mezzo milione l'assegno che ogni anno via Bellerio stacca per le necessità del fondatore e della sua famiglia, dalle auto ai collaboratori di fiducia, e l'addio al Carroccio farebbe chiudere immediatamente i rubinetti. Peraltro, la cifra non comprende i fondi a favore della scuola Bosina di Varese, messa in piedi dalla moglie di Bossi Manuela Marrone. Non è tutto. Perché circa un anno fa, l'11 maggio, l'ex ministro delle Riforme e Roberto Maroni s'erano accordati per il passaggio di consegne alla segreteria. E nell'intesa (che aumentava i poteri di veto del Senatur sulle espulsioni, così da salvaguardare alcuni suoi fedelissimi come Marco Reguzzoni) era stato affrontato anche un altro aspetto economico. Il partito s'era impegnato a garantire una serena vecchiaia al Senatur, aprendo il portafoglio di fronte a qualsiasi esigenza straordinaria (soprattutto di carattere sanitario) e a tempo indeterminato. Anche se l'uomo di Gemonio si ritirerà a vita privata. Un'ulteriore garanzia che in nessun modo può essere allargata ai parenti. Nel patto non sono fatte cifre, ma tanto era bastato al fondatore per accettare l'intesa. Che pochi giorni dopo aveva ricevuto il via libera anche dal fedelissimo Giuseppe Leoni che aveva dato un'occhiata al documento. Proprio Leoni, con la nuova testata giornalistica fatta registrare pochi giorni fa, ha mandato in fibrillazione il mondo lumbard che pensava di primo passo verso la scissione. «Non è vero niente» s'è affrettato a dire l'Umberto. E alcuni colonnelli, soprattutto dal Veneto, hanno commentato acidi: «Ha solidi motivi economici che lo obbligano a restare dov'è». Nel dettaglio, la Lega paga all'ex responsabile delle Riforme l'Audi con cui si sposta per la Padania. Tre assistenti tuttofare che lo seguono giorno e notte e relative macchine (una a testa). Più gli altri collaboratori a rotazione. Non lo mollano un attimo. Bossi è seguito 24 ore, anche perché quando le persone normali dormono il fondatore lumbard è sveglio. E lavora, telefona, scrive. La malattia ha segnato l'ex ministro, che però non si rassegna a un ruolo di comparsa. Si racconta di una riunione segretissima nella Bergamasca, organizzata una settimana fa davanti a circa 30 persone, per capire la situazione e studiare il da farsi. Da giorni sta circolando un'altra indiscrezione: il fondatore si sarebbe mosso pure in via Bellerio, convocando il tesoriere Stefano Stefani e altri collaboratori nel suo ufficio. Di pomeriggio. All'ordine del giorno, evidentemente, alcuni dubbi in materia economica. Ma poi la riunione era saltata, perché il Senatur sarebbe rimasto nella sua Gemonio.  Al di là degli spifferi, la certezza è che l'aria resta elettrica. Anche se ieri il comitato di garanzia che deve esprimersi per le espulsioni dei militanti da più di dieci anni (ma meno di venti) ha lavorato dando retta alle colombe. Presente anche Bossi, sulle 17 richieste di espulsione ne sono state accolte solo cinque. Non si tratta di big, tanto che il nome più noto è quello del consigliere regionale veneto Santino Bozza, vicinissimo all'ex deputata Paola Goisis che rischia a sua volta il cartellino rosso. Bozza aveva invitato i leghisti a votare addirittura per il Pd. Il dato, però, è che ben 12 richieste di ghigliottina sono state respinte. Annullate o convertite in richiami scritti o sospensioni temporanee. «La discussione si è svolta in un clima di massima collaborazione e serenità e tutte le deliberazioni sono state assunte all'unanimità» fa sapere il responsabile organizzativo Roberto Calderoli. I provvedimenti non riguardavano gli allontanamenti decisi in Veneto sabato. E neanche quelli stabiliti dalla Lega Lombarda meno di una settimana fa. I vari Reguzzoni e soci saranno giudicati più in là, mentre fa rumore in via Bellerio la richiesta di Luca Zaia di una sorta di «conclave leghista» per spegnere le polemiche e trovare un'alternativa alle espulsioni. «Io non so cosa faccia Bossi, non  so cosa voglia fare ma credo che qualunque cosa faccia, io non sarò lì a seguirlo o peggio ancora ad assecondare eventuali rotture della Lega» annuncia il governatore veneto, che rifiuta l'etichetta di «bossiano» in contrapposizione al «maroniano» sindaco di Verona Flavio Tosi. «Penso che il capitolo delle beghe sia chiuso» rilancia Matteo Salvini. Nessuno, nella Lega, pensa che i soldi garantiti a Bossi siano sprecati. «È giusto che ci siano, lui non sa neanche quanto ci costa. E se lo sapesse, ci rimarrebbe male» sbotta un maroniano di stretta osservanza. Circa un anno fa, le garanzie economiche sembravano a Bossi un ottimo scudo per sé e famiglia. Adesso gli sembreranno un ostacolo (quasi) insormontabile.  

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