Doppio Cav, urla e trattaMa punta all'accordo...
Silvio evoca l'incubo Prodi per forzare la mano su Colle e governo. Ma si lavora per un nuovo incontro con Bersani (che ha una fifa blu di Renzi)
di Martino Cervo L'unico modo per liberarvi di me, ha detto in sostanza ieri Silvio Berlusconi, è farmi governare con voi. Nel ripetere con innegabile coerenza il mantra «intese o voto», il Cavaliere ha aggiunto il pezzo forte: se stesso. «Se andiamo al voto subito, vinciamo pienamente alla Camera e al Senato. E se andremo a votare a giugno io sarò ancora il candidato premier». Già dimenticati il passo indietro, la volontà di fare il ministro, l'Alfano lanciato a palazzo Chigi. A differenza di quanto avvenuto a febbraio, Silvio Berlusconi è sicuro di vincere alla Camera profittando del calo di Grillo e della difficoltà di Bersani, percepito come ostacolo allo sblocco della situazione. Tutto questo Renzi permettendo, e senza contare che anche qualora il centrodestra dovesse, in caso di voto anticipato, spuntarla di qualche centinaia di migliaia di voti a Montecitorio, è difficile immaginare al Senato una situazione molto diversa da quella attuale. Comunque Berlusconi ha tutto l'interesse a forzare la mano nei giorni in cui si decide la battaglia del Quirinale, anche perché il primo compito del nuovo inquilino del Colle è ripartire dal caos attuale a fattori invariati, ma con la possibilità di sciogliere le camere e indire elezioni anticipate. Mentre fino a pochi giorni fa le sue quotazioni parevano in calo, la figura di Romano Prodi è il perno attorno cui ruota il futuro della politica italiana. Non a caso nel suo show con la piazza barese il leader del Pdl ha riservato al Professore la bordata più forte. Sull'ex premier Berlusconi ha parlato come il grillino Paolo Becchi: tutto, ma Prodi no. «Con lui al Colle dovremmo scappare all'estero», ha scandito il capo del centrodestra con espressione simile a quella che Umberto Eco usava proprio per il Cavaliere. «Posso tollerare tutto ma non Prodi, tra i candidati a Cinque stelle alla presidenza della Repubblica» cinguettava il pittoresco professore e sedicente intellettuale d'area grillina. Mimando così lo sconcerto di tanti aderenti delusi dalla presenza di una personalità non esattamente rispondente ai criteri di novità e cambiamento tanto invocati da Casaleggio &C. Proprio la presenza del nervosissimo Prodi (che ha reagito con la rinomata suscettibilità a una innocua ma puntuta imprecisione su un suo curriculum scovata dal Foglio) in quella lista di dieci «saggi» in odor di Quirinale per il popolo a Cinque stelle è l'incubo di Berlusconi. Il profilo «alla Prodi» è infatti lo scenario peggiore per il Pdl, perché corrisponde a una figura propensa a concedere a Bersani quel che il leader Pd non ha avuto neppure il cuore di chiedere a Napolitano: un incarico pieno per andare a prendersi i voti dei dissidenti grillini, o di altri pezzetti scollati di Parlamento. Se poi la figura «alla Prodi», garante ed espressione di un'alleanza Pd-M5S, fosse lo stesso Prodi, si aggiungerebbe per il Cavaliere la beffa personale: sarebbe la terza sconfitta su tre subita dal pacioso e vendicativo ex presidente dell'Iri. Per ora, il suo nome serve come bandiera utile a dividere gli schieramenti e le correnti (anche dentro il Pd, sbrindellato proprio su quel nome) e a coprire la reale trattativa, affidata soprattutto all'asse dei Letta (Gianni ed Enrico) e ai canali a essi vicini, che potrebbero portare a un nuovo incontro tra il Cav e Bersani a ridosso delle votazioni per il capo dello Stato, lunedì o martedì. A favore di un accordo giocano la situazione del Paese e il pressing delle forze sociali, la paura di tanti parlamentari (grillini e democratici su tutti) di perdere il posto, il rischio che Berlusconi poi vinca davvero se si vota, la «minaccia» di Renzi che vale tanto per il Cavaliere quanto per molti nel Pd. Per tutto il resto, c'è Prodi.