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Morti per crisi: da giornalista mi vergogno

Facci visto da Vasinca

L'unica relazione dimostrata è quella tra le notizie sui suicidi (pubblicate) e la loro emulazione. E quindi altre morti

Andrea Tempestini
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  di Filippo Facci Io, per il comportamento della stampa sui cosiddetti suicidi «economici», mi vergogno come giornalista e ai politici penso dopo. Perché i dati sono i dati: i suicidi economici in Italia rientrano nella norma oppure sono calati (fonti sanitarie e Istat) ma restano così frequenti che in qualsiasi momento i giornali possono montare delle campagne e allertare l'opinione pubblica: sono fatti sempre «notiziabili» come lo sono gli stupri, gli incidenti sul lavoro o il bullismo, che pure sono in calo a loro volta. La stampa tende a evidenziare le notizie non sulla base di una loro rilevanza assoluta ma sulla base di quanto si inseriscano nella traiettoria di altre notizie, ed è normale, ma coi suicidi c'è una differenza sostanziale. Che non è l'omissione, per esempio, del fatto che nella florida Germania si suicidano il doppio che in Italia, mentre nella disastrata Grecia poco più della metà. E non è che in Italia, nel prospero 1987, si toglievano la vita più di 4mila persone l'anno mentre oggi, con la crisi, meno di 3mila. Il solo dato certo e regolarmente omesso, infatti, è che esiste una relazione dimostrata tra le notizie sui suicidi (pubblicate) e la loro emulazione e quindi altri suicidi. Lo spiegano 56 studi internazionali (fonti: Oms e Ordine dei giornalisti) ma non lo spiegano quei quotidiani che incolpano la classe politica anche se la pistola fumante l'hanno in mano anche loro.  

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