Bersani sta bluffando:"Noi mai con il Pdl"Però intanto tratta...
Pier scrive a "Repubblica" per troncare il dialogo col Cav, ma nel partito cresce l'ala dell'intesa. E l'assemblea di oggi potrebbe sancire il cambio di linea
di Marco Gorra La sbornia aperturista del Partito democratico dura il breve spazio di un weekend. A spazzare via i cauti ammiccamenti arrivati negli ultimi giorni da dirigenti sparsi provvede il segretario in persona. Pier Luigi Bersani prende carta e penna ed invia una breve quanto ultimativa lettera a Repubblica. Il senso della quale è il seguente: nessuna apertura nei confronti del Pdl, la strada resta quella del doppio binario governo di cambiamento - convenzione per le riforme, non è una questione di nomi («Io ci sono, se sono utile. Non intendo essere di intralcio»), col governissimo «predisporremmo solo il calendario di giorni peggiori». In sostanza, Bersani ridimensiona fortemente l'offerta dei Democratici al centrodestra: a Berlusconi viene concesso nulla più del riconoscimento politico (che tradotto significa che il Pdl può dire la propria sul Quirinale e decidere su quale tra i nomi proposti del Pd preferisce convergere) ed in cambio gli si chiede, se non il disarmo, almeno l'ammontare di cessate il fuoco necessario a far partire il governo Bersani. La piattaforma per via dell'Umiltà irricevibile era ed irricevibile resta. Il coro dei dichiaratori d'area si leva fin dal primo mattino, e la stroncatura della strategia bersaniana dell'arroccamento è unanime. Questa l'ufficialità, resta da capire quello che si muove dietro le quinte. Dove le cose sembrano stare in maniera meno univoca di quanto si direbbe. Intanto perché le diplomazie di Bersani e di Berlusconi sono al lavoro, e l'incontro tra i due che sembrava finito su un binario morto ha invece ripreso quota, al punto che c'è chi giura che Cavaliere e premier incaricato-congelato potrebbero vedersi già dopodomani: e che motivo avrebbero per organizzare un incontro del genere due persone che non hanno nulla da dirsi? L'altra variabile in ballo è l'atteggiamento del resto del partito. Dove la linea dura di Bersani non è mai stata tanto minoritaria e dove la voglia di immolarsi in nome delle ambizioni del segretario è ai minimi storici. Oggi è in programma un'assemblea dei gruppi parlamentari, e nelle componenti del partito più scettiche nei confronti della piattaforma di Bersani le speranze che in questa sede si riesca in qualche modo a mettere nero su bianco un qualsiasi aggiustamento della rotta sono notevoli. Le parole di Giorgio Napolitano circa le virtù delle larghe intese che nel 1976 risolsero lo stallo e che non sarebbe male sperimentare anche nel 2013 hanno trovato nel Pd orecchie attentissime (anche in virtù di come nell'ultimo mese la linea del capo dello Stato sia diventata il punto di riferimento per gli antibersaniani di ogni estrazione). Sulle valutazioni del Pd, da ultimo, pesa anche la pratica dell'elezione del nuovo capo dello Stato. Al Nazareno sono certi che, Napolitano regnante, le chance di successo dell'esperimento di Bersani sono scarsissime. Altro scenario si potrebbe aprire all'indomani del cambio della guardia al Quirinale, qualora andasse ad insediarsi un presidente della Repubblica più sensibile alle istanze dei Democratici. Che questa opzione attendista esista lo confermano le sibilline parole consegnate in serata da Enrico Letta: «Aspettiamo di vedere chi sarà il prossimo presidente della Repubblica», afferma il vicesegretario del Pd, «la nostra proposta con Bersani premier è lì, però in questo momento non era matura. Vedremo dopo l'elezione del Capo dello Stato».