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Pansa: Il buio oltre Napolitano. Ecco come deve essere il nuovo presidente

Nicoletta Orlandi Posti
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  di Giampaolo Pansa Da cittadino senza potere, mi auguro che il governo del presidente nasca subito e rimanga in carica almeno un anno. È l'unica condizione per evitare due disastri. Il più grave, al limite della catastrofe, sarebbe l'assalto dei mercati internazionali con l'intenzione di fare dell'Italia un terreno bruciato per le loro scorribande speculative. A quel punto la nostra crisi economica e sociale potrebbe diventare senza rimedio. Tutti i sacrifici che abbiamo fatto, e stiamo ancora facendo, non saranno serviti a nulla. Saremo noi la nuova Grecia. Per non dire una grande Cipro, una prigione dalla quale nessuno, neppure Beppe Grillo, potrà evadere.  Il secondo disastro sarebbe altrettanto pesante: la fine del sistema politico e istituzionale che sino a oggi abbiamo conosciuto. So bene i difetti dei nostri partiti, di tutti i partiti. I guai emersi in questa maledetta primavera, con un'evidenza che sgomenta, confermano una verità amarissima: la Casta è in preda a una terribile impotenza a trovare un accordo che ci dia un governo efficiente e stabile. I veti reciproci si sprecano. Lo stallo, parola soffice per indicare una paralisi drammatica, diventerà un coma profondo e senza risveglio. Il risultato sarà un caos in grado di generare un'anarchia totale, anticamera di una guerra civile. Oppure troverà spazio una soluzione autoritaria imposta non sappiamo da chi. I politici si rendono conto del rischio che fanno correre a tutti? Quando sui partiti scenderà una notte buia, chi ha un incarico pubblico, dai parlamentari ai sindaci di piccoli comuni, farà bene a scappare all'estero Prima di finire appeso a qualche lampione.  La via di scampo - Il governo del presidente è l'unica via di scampo che abbiamo. Per costringere i partiti ad accettarlo e a votarlo, Giorgio Napolitano ha minacciato di dimettersi in anticipo rispetto alla scadenza del suo settennato, prevista per la metà di maggio. Aprendo la strada allo scioglimento delle Camere e a nuovo giro elettorale. Mi auguro che si tratti soltanto di una pressione per obbligare la Casta a trovare un accordo. Ma comunque vadano le cose, avremo sempre una prova da superare, decisiva e molto delicata: l'elezione del nuovo capo dello Stato, il successore di re Giorgio. Da noi, la scelta del presidente della Repubblica non è stata quasi mai un'operazione tranquilla. Ricordo come un incubo il succedersi delle tante votazioni a vuoto che poi ci diedero un capo dello Stato molto popolare, Sandro Pertini. Anche l'elezione di Napolitano arrivò soltanto al quarto scrutinio, allorché fu sufficiente la maggioranza semplice. Ma il 15 aprile, quando le Camere in seduta comune inizieranno a votare, la scelta del nuovo presidente sarà più delicata di sempre. I perché sono tanti. Qui ne indicherò soltanto tre. Il primo è la condizione di agonia dei partiti, messi alle strette da un risultato elettorale che non ha indicato un vincitore indiscutibile. Il secondo è lo sbarco massiccio in Parlamento di una forza antisistema, il Movimento 5 Stelle, che ha l'obiettivo dichiarato di affossare la Repubblica. Per sostituirla con il regno di Gaia, il sogno demenziale di Gianroberto Casaleggio, il guru o il tutore di Grillo. Il terzo è il carattere che l'istituto presidenziale ha assunto negli ultimi anni.  Che cosa significhi oggi eleggere un presidente della Repubblica lo ha spiegato con chiarezza Michele Ainis, un docente di Diritto costituzionale che molti conoscono perché scrive articoli sempre chiari e partecipa a dibattiti televisivi senza insultare nessuno, ma cercando di far capire a quanti lo ascoltano questioni complicate. Si è condotto così anche nella sua ultima rubrica sull'Espresso. Intitolata «Attenti a chi mandiamo al Colle».  L'attenzione è un obbligo legato alla natura stessa del mandato presidenziale. A cominciare dalla sua durata: sette anni, un tempo molto lungo rispetto al poco che durano le legislature in epoche di bordello politico. Subito dopo viene la somma di poteri del capo dello Stato, in grado di sovrastare ogni altro potere. Dal 1948 a oggi, ossia dalla elezione di Luigi Einaudi, sino all'arrivo al Colle di Napolitano, i poteri del Quirinale si sono dilatati di continuo. Siamo ancora in una Repubblica parlamentare che tuttavia è andata acquisendo tratti tipici delle repubbliche presidenziali. Ainis ricorda che Carlo Azeglio Ciampi si era conquistato il potere autonomo di concedere la grazia. Napolitano ha rivitalizzato il Consiglio supremo di difesa, crocevia della politica militare. Sempre con re Giorgio, il Quirinale ha sommato il cosiddetto potere invisibile, la moral suasion, la capacità di persuasione, a un potere visibile, ossia l'emanazione degli atti normativi del governo. Decisioni che hanno validità soltanto se vengono firmate anche dal capo dello Stato. Tutti ricordiamo la protesta di Silvio Berlusconi che si lamentava di presiedere un esecutivo a sua volta presieduto dall'uomo del Colle più alto.  Pier Luigi l'ingordo - Da garante il presidente della Repubblica è diventato quasi un governante. Ainis scrive: «Esiste un'ampia zona grigia, dove i ruoli sono intercambiabili. E dove da un momento all'altro il controllore può trasformarsi in decisore. E se il prossimo presidente usasse la controfirma per paralizzare l'azione del governo e sottoporlo alla propria volontà? Formalmente nessuna norma costituzionale verrebbe violata. Ma nella sostanza cadremmo nel più presidenziale dei regimi». Se il professor Ainis ha ragione, e il Bestiario ritiene che l'abbia, si comprende meglio l'irritazione di Berlusconi e di tutto il centrodestra contro il proposito attribuito al centrosinistra di eleggere un capo dello Stato espresso dalla propria area politica. Diciamoci la verità: Pierluigi Bersani ha già conquistato le presidenze del Senato e della Camera. Sino a ieri sembrava a un passo da Palazzo Chigi. Pretendere di avere anche il Quirinale era una mossa eccessiva e pericolosa.   Anche nelle battaglie istituzionali vale il vecchio detto: il troppo stroppia. E infatti per Bersani è iniziato il declino. Il nuovo presidente della Repubblica, uomo o donna che sia, deve essere un moderato imparziale, senza legami con la Casta partitica. Per quanto mi riguarda, pur essendo io un laico, mi piacerebbe che fosse un cattolico. La Democrazia cristiana non esiste più da un pezzo. E spesso mi domando se sia un bene o un male. Ma nella società italiana i cattolici sono ancora tanti. Lo dimostrano le grandi folle entusiaste che hanno accolto l'elezione del nuovo pontefice, Papa Francesco. Tra loro esistono persone in grado di esercitare con saggezza il doppio potere del Quirinale.  Sempre nel caso che una chiamata concorde del Parlamento non preghi  re Giorgio di «fare gli straordinari». Ossia di farsi rieleggere, sia pure per un tempo limitato. E lui accetti di accollarsi questo nuovo sacrificio. Siamo un Paese in guerra, anche contro se stesso. Per esperienza personale, so che la data di nascita conta. Ma spesso la vita, o il Padreterno per chi ci crede, può chiedere a chiunque un impegno inaspettato e faticoso. Comunque vada, dico a re Giorgio: grazie, signor presidente. Chi verrà dopo di lei, non ci faccia rimpiangere i suoi sette anni di lavoro al servizio della Repubblica italiana, ossia di tutti noi.  

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