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Bersani deluso da Napolitano: medita vendetta sul Quirinale, alleato con Grillo

Giulio Bucchi
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di Franco Bechis C'è un vincitore di questa partita in casa Pd. A parte Giorgio Napolitano, che però in casa non c'è più e in campo è sceso sia come arbitro che come giocatore. Il vero vincitore è Massimo D'Alema, il padre politico di Pier Luigi Bersani a cui il figlio aveva evidentemente staccato la spina. È stato D'Alema l'unico dirigente del Pd a conoscere in anteprima la decisione del presidente della Repubblica sulla «commissione dei saggi». La comunicazione è arrivata venerdì sera dallo stesso Napolitano in una telefonata in cui cercava anche un giudizio, un conforto. E l'ha avuto a piene mani. Solo Mario Monti era stato informato in anticipo come D'Alema, ma in questo caso si trattava di atto doppiamente dovuto: l'idea degli esploratori di programma era stata suggerita a Napolitano proprio dalla delegazione di Scelta civica per l'Italia durante l'incontro di venerdì pomeriggio (l'aveva illustrata Mario Mauro, il capogruppo al Senato che infatti è divenuto saggio), e con questa scelta il governo Monti allungherà la sua vita ben oltre le previsioni iniziali.  D'Alema dunque è tornato centrale in questa fase politica, e inevitabilmente questo ruolo avrà il suo riverbero all'interno del partito. Dove inevitabilmente quel che rimane di quella componente (ancora discreta in direzione, ma ai minimi termini nei gruppi parlamentari), si salderà con i gruppi e i leader più sconcertati dalla limnea seguita da Pier Luigi Bersani dal giorno successivo alle elezioni: gli ex popolari-margheritini come Dario Franceschini e Beppe Fioroni, gli ex rutelliani come Paolo Gentiloni, i prodiani alla Rosy Bindi, (che è stata fra le prime ad applaudire la soluzione Napolitano) e forse per un breve tratto di strada anche il gruppetto di Matteo Renzi. Sulla stessa linea altre leadership evidenti, come Anna Finocchiaro, la più stimata donna del Pd, sacrificata sull'altare di Beppe Grillo per fare spazio a Piero Grasso.  Naturale che Pier Luigi Bersani e il suo gruppo di fedelissimi abbiano vissuto come un dramma le scelte di Napolitano, che ha disintegrato i loro piani nelle ultime 48 ore. Ora è poco più che cenere quella bandiera sventolata a lungo: «O Bersani o urne», ed è certamente finita in secondo piano quella sudditanza al Movimento 5 stelle che stava turbando gran parte del primo partito della sinistra. Il diretto interessato, l'agnello che Napolitano ha immolato per Pasqua, ovviamente è costretto a fare buon viso a cattivo (pessimo per lui) gioco. Bersani si è sottratto all'assedio dei cronisti a Piacenza e Bettola, limitandosi alle poche parole utilizzabili su twitter. Prima un laconico «il Pd è pronto ad accompagnare il percorso indicato dal presidente Napolitano». Poi una frase che denota lo spirito simile a quello dei tre soldati giapponesi che continuarono per decenni a combattere alla macchia la seconda guerra mondiale non accettando la sua fine: «Il governo di cambiamento e la convenzione per le riforme restano il nostro asse». Bersani è certamente un generale sconfitto da un avversario che non si aspettava e che non era attrezzato ad affrontare: Napolitano. È probabile che questo intervento finisca con il minare anche numericamente le sue truppe. I primi a capire che le cose rischiano di mettersi assai male soprattutto per loro sono i giovani turchi, quel gruppetto abbastanza spregiudicato di presunti fedelissimi che già in altre occasioni rischiose si è differenziato dal proprio leader. Ieri tutti zitti. L'unico bersaniano che senza timore ha avuto parole aspre sulla scelta di Napolitano è stato l'ex leader della Cgil, Sergio Cofferati, che si è detto assai deluso da quella commissione dei saggi, dove «faccio fatica a capire chi potrà rappresentare il M5S». Più realista del re, visto che i parlamentari di Beppe Grillo avevano già applaudito la scelta del Capo dello Stato, quasi avesse seguito il loro consiglio di lasciare in carica Monti e fare lavorare il parlamento con i suoi poteri legislativi. Cofferati ha fatto capire con chiarezza l'umore dei bersaniani: «Quella degli sherpa», ha detto, «è strada tutta la verificare e in salita, con ostacoli enormi. C'è grande squilibrio anche nella qualità della rappresentanza politica, visto che c'è un capogruppo solo. Io penso che alla fine del loro lavoro saremo allo stesso punto di prima». Medita vendetta il gruppetto dei fedeli al segretario del Pd, e pensa che l'occasione buona possa venire proprio dalla nomina del nuovo capo dello Stato. Saranno i primi ad affossare nell'urna la candidatura di Napolitano, se mai questa dovesse essere lanciata. E pensano di potere utilizzare quella occasione proprio per riprendere la loro idea di unione con il M5S, trovando una maggioranza istituzionale in grado di mandare gambe all'aria il disegno del capo dello Stato.

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