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Re Giorgio archivia Bersanie "rispolvera" un incubo:pensa ad Amato premier

Giuliano Amato

Napolitano incontra il segretario: via libera solo con numeri certi (che non ci sono). L'alternativa è un governo del presidente: si fanno anche i nomi di Marini e Dini

Andrea Tempestini
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di Fausto Carioti La risposta data ieri dal Movimento Cinque Stelle a Pier Luigi Bersani, un «no» netto e senza spazi di manovra per il presidente pre-incaricato, è decisiva anche per Giorgio Napolitano. A questo punto, al leader della coalizione di sinistra non resta che puntare ad ottenere il via libera per guidare un governo di minoranza. Operazione che il Pdl e la Lega potrebbero rendere possibile solo se Bersani desse le garanzie richieste sulla elezione di un esponente «moderato» – che non vuol dire necessariamente «di centrodestra» – alla presidenza della Repubblica. Quando Bersani si presenterà sul Colle con una simile richiesta – dovrebbe avvenire oggi o domani – il cerino passerà nelle mani di Napolitano. E vista anche la natura dell'incarico che aveva affidato a Bersani, la risposta non potrà che essere negativa. Dimostrato che il leader della coalizione che controlla la Camera non è in grado di formare un proprio governo, il Capo dello Stato intende tornare al suo progetto originario: far nascere un governo del presidente.  Una soluzione invocata dal Pdl (Fabrizio Cicchitto dice che «se Bersani non è in grado di offrire una soluzione, allora va messo in campo un nome di garanzia che unisca anziché dividere») e dai centristi (per Luca Cordero di Montezemolo «non c'è alternativa ad un governo di scopo ampio e forte, sostenuto da tutte le principali forze politiche»). Probabilmente gradita alla Lega. A modo loro auspicata persino dai grillini («Se Napolitano fa un altro nome è un'altra storia», avverte il capogruppo Vito Crimi). Ma potenzialmente deflagrante per il Pd. E anche di questo Napolitano deve tenere conto, mettendo in campo un nome al quale i democratici non possano dire «no» a cuore leggero. Il profilo del premier cui si pensa sul Colle ricalca molto bene quello di Giuliano Amato, ma si adatta anche a Franco Marini e a Lamberto Dini. Tre nomi dal forte appeal bipartisan, i primi due direttamente legati al Pd: non a caso sono gli stessi nomi che girano per la successione a Napolitano.  Il presidente della Repubblica la pensa come la pensava il 22 marzo. Quella sera Bersani fu incaricato non di formare il governo, bensì «di verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo» e di riferire «appena possibile». Il segretario del Pd ha disatteso il mandato su tutta la linea: le sue consultazioni sono state lunghe e surreali e il «sostegno parlamentare certo», che in concreto vuol dire la sicurezza di poter contare su almeno 159 voti al Senato, è lontanissimo. L'ipotetico governo Bersani resta fermo ai 122 voti del centrosinistra, al quale tutt'al più potrebbero aggiungersi i 21 esponenti di Scelta Civica. È questa, magari con l'aggiunta di qualche pentito grillino, la cifra che Bersani conta di far diventare “maggioranza”, contrattando con Silvio Berlusconi e Roberto Maroni la “non belligeranza” di Pdl e Lega.  Se Bersani si presenterà sul Colle con questi numeri, Napolitano non gli permetterà di fargli formare il governo. «Certo», avverte chi ha parlato con il Capo dello Stato nelle ultime ore, «dipenderà anche da cosa gli dirà Bersani, da come gli descriverà i termini della possibile collaborazione con Pdl e Lega. Ma il presidente resta determinato a non dare il via libera a un governo di minoranza». Napolitano però non ha nemmeno intenzione di lasciare in sella Mario Monti. Non ce l'aveva prima e tantomeno ce l'ha adesso che il governo in carica ha rimediato la peggiore delle figuracce internazionali con la vicenda dei due marò. Lo stesso Monti ieri ha alzato bandiera bianca, dicendo che il suo governo «non vede l'ora di essere sollevato dall'incarico».  Motivo in più per tornare alla scelta che Napolitano aveva accarezzato prima di chiamare Bersani sul Colle. Un governo del presidente da affidare a un nome che abbia determinate caratteristiche. Iniziando da un curriculum istituzionale e una statura politica di primo livello. Deve essere ben noto a livello europeo e masticare bene i fondamentali dell'economia, specie alla luce del caso Cipro e degli ultimi avvertimenti di Moody's sul rating italiano. Ma, visto come è andata a finire con Monti, non potrà essere un tecnico.  Non ce ne sono molti così. Amato, esponente del Pd, ha le caratteristiche giuste: è stato premier, ministro del Tesoro e dell'Interno, presidente dell'Antitrust; in Europa è stato vicepresidente della Convenzione europea al fianco di Valéry Giscard d'Estaing. Un profilo non troppo diverso da quello del sindacalista cattolico e popolare Marini, anch'egli del Pd: è stato ministro del Lavoro, parlamentare europeo e presidente del Senato. Quanto a Dini, è bipartisan perché i partiti se li è girati un po' tutti. Dei tre è quello con le competenze finanziarie e il profilo internazionale più solidi, sebbene paghi il fatto di aver trascorso gli ultimi anni nel Pdl e di essere il più anziano (82 anni). Con “appena” 75 anni Amato è il più giovane della combriccola (Marini va per gli 80). Anche di questo Napolitano terrà conto. Per il dispiacere di Bersani, il mandato da affidare al presidente incaricato stavolta potrebbe essere pieno: il presidente della Repubblica non esclude di far giurare il prescelto e i suoi ministri e quindi spedirli in Parlamento. A quel punto, qualunque cosa decidano i partiti in merito alla fiducia, il nuovo governo sarebbe comunque in carica.

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