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Parlamento, dieci nomi per la presidenza di Camera e Senato

Finocchiaro, Monti, Franceschini, Grasso, Ichino: il Pd vuole scegliere tra loro, ma il Pdl può far saltare tutto

Giulio Bucchi
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di Barbara Romano Pier Luigi Bersani è a un bivio. Non solo sulla via da imboccare per Palazzo Chigi, ma anche sulla scelta dei presidenti di Camera e Senato. Dietro i sommi scranni dei due rami del Parlamento c'è il groviglio intricatissimo delle alleanze, ancora tutto da sciogliere. Dai nomi che usciranno dal conclave dei partiti si capirà qual è la coalizione che farà da architrave al governo, si delineerà la geografia parlamentare della nuova legislatura e soprattutto si capirà di che morte moriranno il primo e la seconda. Ma le diplomazie in campo sono ancora in alto mare. E mentre il rebus delle presidenze langue, sul Senato si allunga lo spettro del numero legale. Spetta a Bersani la mossa di apertura, visto che è lui il vincitore, seppur perdente, delle elezioni. E il leader del Pd ha davanti a sé tre possibilità: scegliere i presidenti in accordo con il centro montiano, con i 5 Stelle di Grillo o con il Pdl. La prima ipotesi vedrebbe Dario Franceschini al vertice di Montecitorio e Mario Monti alla presidenza del Senato. L'ex capogruppo del Pd alla Camera è in una botte di ferro, perché può contare su 340 voti. Il premier potrebbe conquistare la presidenza del Senato al ballottaggio, sempre ammesso che ci sia il numero legale. Il regolamento per l'elezione della seconda carica dello Stato prevede, infatti, quattro votazioni a scrutinio segreto: i primi due voti a maggioranza assoluta, per il terzo basta la maggioranza dei presenti. Se le tre votazioni vanno a vuoto, si procede, appunto, al ballottaggio tra i due senatori più votati (in caso di parità viene eletto il più anziano). Sul tandem Franceschini-Monti, è stato raggiunto un accordo di massima giovedì a Palazzo Chigi nell'incontro tra il segretario del Pd e il Professore. Se Monti fosse costretto dai picchi di spread a prolungare la sua permanenza a Palazzo Chigi senza potersi dimettere, per Scelta Civica in subordine sono in pole-position Piero Ichino e Linda Lanzillotta, la quale ha qualche chance in più perché ritenuta vicina a Montezemolo.  Le sliding doors del Parlamento potrebbero aprire a un altro futuro se, invece, Bersani riuscisse nell'intento di scendere a patti con Grillo. In tal caso, ai 5 Stelle andrebbe la presidenza della Camera mentre sarebbe Anna Finocchiaro (oltre a Piero Grasso) la favorita per lo scranno più alto di Palazzo Madama, anche perché l'ex presidente dei senatori del Pd non dispiace al centrodestra. Ma un accordo, per ora difficile, con il partito di Berlusconi potrebbe prevedere un esponente del Pdl all'apice del Senato: in cima alla top-ten c'è il presidente uscente, Schifani, ma circola anche il nome di Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo vicario, anche lui dotato di un gradimento bipartisan. Se dovesse davvero concretizzarsi la linea dalemiana dell'inciucio, ma Bersani pretendesse per il suo partito Palazzo Madama, uno dei possibili candidati del Pdl al vertice di Montecitorio è Maurizio Lupi. Ma il problema è il Senato, dove non c'è una maggioranza. Perciò il dilemma è: il presidente può essere eletto anche se manca il numero legale? Il regolamento del Senato non chiarisce questo punto, ma fior di costituzionalisti sostengono di no. Ed è proprio questo il rischio più serio partorito dalle urne. Servono 158 senatori per raggiungere la maggioranza assoluta. E il risultato elettorale fa sì che il partito di maggioranza relativa, ovvero il Pd (123 seggi) più Scelta Civica (19) arrivano al massimo a 142. Il che vuol dire che se i grillini si chiamano fuori, il Pdl è in grado di impedire l'elezione di qualunque presidente. Non si arriva a 158 neppure con i 12 senatori che, da regolamento, devono restare in aula per chiedere il numero legale. Ed è proprio questo il piano del Cavaliere.

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