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"Merda, testa di c. e faccia da c.":la politica al tempo dell'insultoEcco la rassegna delle parolacce

Mussolini, Sgarbi, Bossi, Grillo

Dal "pioniere" Bossi fino al "discepolo" Grillo, passando per il "recordman" Sgarbi, le "vajasse", le sclerate e gli "energumeni tascabili"

Sebastiano Solano
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Dalla tv alla politica il passo e breve. Anche per il turpiloquio. In principio furono i vari Grande Fratello, X-factor, La pupa e il secchione e tutte quelle trasmissioni collaterali ai reality a sdoganare pubblicamente un linguaggio a greve. Tutte trasmissione a cui in seguito parteciparono politici come Vittorio Sgarbi e Alessandra Mussolini che, nel 2007, diedero vita ad una sorta di serie tv a se stante, basata su alterchi e insulti con un corollario di parolacce da provocare qualche imbarazzo, forse, anche a Germano Mosconi, lo storico giornalista veneto che per il turpiloquio (e per la bestemmia) divenne una web-star, suo malgrado. Il pudore nella Prima Repubblica - Ma lo sdoganamento definitivo dell'imprecazione in politica avviene con Beppe Grillo che attorno ad un 'Vaffanculo' radunò migliaia di persone. Da li in poi, con una parabola ascendente da far invidia a quella dello spread nei momenti di crisi più nera, il turpiloquio è stato retto a sistema, a strategia e tattica politica. Non che nella Prima Repubblica fosse bandito o sconosciuto. Come ricorda Pierlugi Battista su Il Corriere di sabato 2 marzo, "Togliatti quando doveva oltraggiare qualcuno indossava gli abiti di Roderigo di Castiglia". E' che il pudore inibiva qualsiasi volontà di andare oltre, per cui scattavano subito le pubbliche scuse. La fine della Prima repubblica fu l'inizio di un'altra parabola ascendente, quella di Umberto Bossi che definì "Berluskazz" il nemico momentaneo Berlusconi, e "stronzi'"Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, con cui l'inimicizia (politica) divenne invece definitiva.  Da Bossi a Grillo: il vaffa al potere - Volendolo ipotizzare in un'ideale competizione, Vittorio Sgarbi, in quanto a turpiloquio non avrebbe rivali in politica, almeno a livello quantitativo. Peter Gomez, del fattoquotidiano.it, durante un dibattito se ne beccò quattro in meno di dieci secondi netti: capra, idiota, finocchio e troia. Un record. L'unico, numeri alla mano, a poter competere con Bossi. Ma con una differenza: che il Senatùr un leader politico puro, capo di un partito per anni vicino al 10%, poi sceso nei sondaggi, "mazziato" dagli scandali e, forse, anche dalla "comunicatività" di Re Umberto: per esempio il dito medio, con il quale rimarcava la propria opposizione ad avverasari politici, leggi, fatti o opinioni. Poi, come detto, Grillo sfidò Bossi sul suo stesso terreno (si sprecano i parallelismi tra i due e tra i loro movimenti). Ma il comico ligure ha introdotto un'innovazione: nessun gesto, solo un urlo corale, liberatorio, definitivo ("vaffanculo", appunto). A Bossi, però, Grillo deve molto: è stato il capo della Lega ad intuire le potenzialità strategiche del turpiloquio in politica. Così, rimanendo ai nostri giorni, dove tiene banco la questione alleanze, Grillo rispedisce al mittente le proposte di collaborazione di Bersani, con attaccato un 'bigliettino': "Hai la faccia come il culo". Opinione da cui però si smarca il filosofo del Pd Massimo Cacciari, secondo cui, invece, i dirigenti del Pd sono delle "teste di cazzo". Di tutt'altro avviso il pidiellino Renato Brunetta, che a tal proposito ha dichiarato che i vertici del Pd rappresentano ''elite di merda'', a cui ha risposto, indirettamente, Massimo D'Alema, che ha definito l'ex-ministro della funzione pubblica un ''Energumeno tascabile''.  "Attestati di stima" tra colleghi - Ma gli "attestati di stima" sono frequenti anche all'interno della stessa parrocchia: Mara Carfagna definì ''Vajassa'' la collega Alessandra Mussolini. Capita, a volte, di trovare una vittima del turpiloquio e un carnefice all'interno della stessa coppia: la prima è Sallusti, gentilmente invitato da Massimo D'Alema a "farsi fottere', mentre la seconda è Daniela Santanchè che si è spesa in parole poco concilianti sulla materia prima che madre natura usò per "confezionare" i genitali dei suoi ex-compagni di partito in An ("palle di velluto"). C'è spazio anche per Gianfranco Fini, che dal canto suo in una seduta del Parlamento consolò l'allora alleato Giulio Tremonti, contestato dall'opposizione, sussurrandogli "non dare retta a quei coglioni'". Ah, Fini è poi diventato presidente della Camera, ma tra i due fatti non c'è alcuna correlazione. Un qualche legame c'è invece tra Antonio Di Pietro, le domande e il turpiloquio: intervistato da una giornalista Rai, l'ex-pm sbottò: "Fai delle domande del cazzo". La giornalista, umiliata, deve aver riferito il tutto ai colleghi Rai, che presero nota. Tra di essi, si suppone, prese nota anche Milena Gabanelli, che fece a Di Pietro una serie di domande talmente inoppugnabili da provocarne la fine politica. 

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