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I comuni spreconi? Di sinistraDe Magistris re degli sperperi

Luigi De Magistris

Napoli da record: spende per burocrazia il 52% più del necessario. Seconda Roma, bocciata Firenze. Nella top ten delle peggiori, 7 a guida progressista

Andrea Tempestini
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  di Filippo Manfredini Tutti da Palazzo a blaterare: e bisogna tagliare di qui e tagliare di là, ed eliminare gli sprechi, e ottimizzare le spese, e snellire le procedure. Ed ecco che per meglio indirizzar le forbici s'incaricano fior di tecnici  - termine invero un po' usurato, ma tant'è - in modo che analizzino, calibrino e infine sentenzino. Salvo poi lasciar le buone intenzioni marcire come tali, con la realtà lasciata intonsa nella sua costosa assurdità - d'altronde mica siamo italiani per niente. Teoria e realtà Per dire: il Sole 24 Ore ha pubblicato i risultati della relazione elaborata nei mesi scorsi dalla Copaff, la Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale - progetto che per la verità pare ormai tramontato. E comunque, avvalendosi dell'aiuto di altri soggetti in questo senso competenti - la Sose, società del ministero dell'Economia e di Bankitalia, e l'Istituto per la finanza locale dell'Anci - ha scomposto e sviscerato le uscite di tutti i Comuni delle Regioni a statuto ordinario, così da poter fissare i parametri di spesa ottimale. In sostanza, l'obiettivo è quello di quantificare la «spesa giusta» per poter far fronte ai «fabbisogni standard» delle amministrazioni in questione, che poi coincidono con i cosiddetti «servizi generali» - e dunque i soldi per far funzionare gli uffici incaricati di gestire entrate e uscite del Comune, e i servizi quali anagrafe e servizi elettorali e anche i servizi tecnici e insomma, tutto o quasi l'apparato burocratico. Trattasi di 8,8 miliardi complessivi all'anno, vale a dire il 27 per cento delle uscite comunali proprio in ordine alle funzioni fondamentali. Scialacqui vesuviani Questo il discorso. E allora? E allora ecco la prima cosa che balza all'occhio, proprio scorrendo la tabella che riporta i risultati: Napoli - e non è che uno se la voglia pigliar sempre con gli amici partenopei, ma questi sono i numeri -  Napoli, secondo i paletti fissati dalla Commissione, dovrebbe spendere per questo «fabbisogno standard» 226,1 milioni di euro all'anno, e invece ne sborsa 344,6 milioni, che poi significa il 52,4 per cento in più. In questo senso è la medaglia d'oro degli sprechi comunal-burocratici. E dunque? Si taglia? Macché: nonostante questi sperperi vesuviani rappresentino addirittura il 37,8 per cento del totale degli sprechi registrati in tutti i capoluoghi,  d'altro canto le ultime disposizioni governative riservano alla città ora amministrata da Giggino De Magistris solo il 5 per cento dei tagli. Paradossale. Torino e bari le migliori Al secondo posto, in questa davvero poco invidiabile classifica dei municipi immotivatamente spendaccioni, si piazza la Roma di Alemanno: 890,4 milioni di spesa effettiva, a fronte di un fabbisogno standard quantificato in 827 milioni, dunque con uno sforamento del 7,7 per cento. E medaglia di bronzo ecco poi la Firenze che non t'aspetti, con Matteo Renzi che evidentemente, in quanto a uscite, ha di che sfoltire: 100,9 milioni di euro la spesa effettiva del Comune, 86,8 milioni quella considerata sufficiente, e quindi 16,2 milioni di surplus. E in effetti, scorrendo la top ten dei «Comuni burocraticamente spendaccioni», non è che il Partito Democratico possa ritenersi soddisfatto: vi compaiono infatti ben sette  città a guida di centrosinistra - oltre a Napoli e Firenze, anche Alessandria, Siena, Padova, Venezia e Perugia - a fronte di tre del centrodestra - oltre a Roma, anche Ascoli Piceno e Lecce.  Peraltro, il Pd si può consolare con la graduatoria inversa, quella dei migliori: la Torino di Fassino spende ben 81,9 milioni in meno  di quanto quantificato dalla Commissione, con un risparmio del 36,9 per cento. E anche Bari e Milano e Genova sono messe bene. Quinto fra i Comuni di virtuosi è poi quello di Verona, guidato dal leghista Flavio Tosi. Esempi da seguire.  

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