Cerca
Logo
Cerca
+

La tentazione di Casini:mollare Monti per il Pd

Pier Ferdinando Casini

La vecchia volpe Pierferdy studia come accodarsi con Bersani e scaricare il Prof. E Mario che fa? Si prenota per dieci anni: "Con me crescita del 10?"

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

  di Marco Gorra A parole, va che è una meraviglia. Campagna elettorale all'unisono, solenni giuramenti di fare i gruppi unici ed aperture all'idea di arrivare un domani a fondersi in un unico, grande partito dei gagliardi riformatori. Nella pratica, però, le cose paiono stare diversamente ed il legame che tiene insieme il leader dell'Udc ed il premier tutto sembra fuorché granitico. Il punto è che anche tra i montiani inizia a farsi strada il tremendo sospetto: ma siamo sicuri che Casini manterrà quel che promette? Ecco, di fronte a questa domanda inizia ad esserci chi sulla bontà delle intenzioni dell'ex presidente della Camera ha remore a mettere la mano sul fuoco. I timori dei montiani hanno un nome e un cognome: Palazzo Madama. I pronostici fatti compulsando il listone unico alla luce dei sondaggi, infatti, danno l'Udc in grado di eleggere dieci senatori propri. E la soglia per costituire un gruppo è proprio quella. L'episodio dell'altra mattina - quando Casini in tv aveva smentito seccamente l'ipotesi salvo chiedere sornione agli intervistatori, mentre la pubblicità doveva ancora partire, se davvero erano «così pessimisti» da attribuirgli appena dieci seggi a Palazzo Madama - non ha fatto che rinfocolare questi timori. Per dissipare queste paure lo strumento è uno solo: i voti. All'origine della tentazione casiniana, infatti, ci sono le prospettive elettorali non esattamente rosee che il centro montiano vede di fronte a sé. Coi sondaggi inchiodati intorno al 15% e con la concreta eventualità di finire quarti dietro centrosinistra, centrodestra e Grillo (che con Mps in poppa va guadagnando parecchio terreno) il potere negoziale con cui presentarsi dal Pd dopo il voto per mettersi d'accordo è minimo. E quando si va a trattare con tanta domanda (quanta è quella di Monti e dei suoi) ed offerta scarsa, si finisce male. Questo Casini lo ha capito benissimo, al punto da vagheggiare il piano B. Per far scattare il quale sarà necessaria, dal punto di vista dei numeri, una sola condizione: al leader dell'Udc serve che la somma dei propri senatori e di quelli del centrosinistra (chiaramente incluso Vendola, ma sul punto Casini è assai meno choosy di Monti) dia come risultato un numero maggiore o uguale della soglia di galleggiamento a Palazzo Madama. A quel punto la convenienza sarebbe massima: il prezzo praticato da Casini sarebbe incredibilmente più basso (il toto-Pier vede in testa la presidenza del Senato) di quello di Monti (dove la richiesta si articolerebbe in più di una voce), e Bersani non avrebbe motivo per rifiutare. Questo il quadro, guadagnare punti nei sondaggi per il Professore diventa una questione di sopravvivenza. E per recuperare terreno in campagna elettorale il modo è uno solo fare promesse tante e mirabolanti, lisciando il pelo all'elettorato. Così, dopo una giornata passata a smentire di avere anche solo mai pensato di tagliare le vacanze scolastiche ad un solo mese (notizia la cui anticipazione lunedì sera gli era valsa una impressionante sequela di insulti su internet) Monti si è presentato al Tg5 per farsi intervistare. Premesso un obbligatorio riferimento alla vicenda Mps che «non deve gettare ombre sul sistema bancario italiano che ha retto più dei sistemi degli altri Paesi», il premier preme sull'acceleratore della propaganda. Punto primo: o me o la povertà. «Se proseguiremo lungo il cammino intrapreso dal nostro governo», recita il post lasciato da Monti su Facebook subito prima della diretta col tg, «l'economia italiana crescerà del 5,75% nei prossimi cinque anni e del 10,5% nei prossimi dieci». Punto secondo: o me o la manovra bis. «A seconda della stabilità di governo e della credibilità dei mercati che un governo ha o non ha le cose cambiano», spiega Monti, «e se i tassi di interesse dovessero tornare a livelli che denotano sfiducia, tutto diventerebbe più complicato e occorrerebbe una manovra in più». Punto terzo: o me o le tasse. «Ora che siamo considerati tra i Paesi più stabili dal punto di vista della finanza pubblica», chiede, «dovremmo continuare ad auto-flagellarci? No. Ora con molta prudenza è possibile cominciare a ridurre le tasse».  

Dai blog