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Roberta Pinotti a Libero: "Dopo Napolitano, una donna al Quirinale"

Giulio Bucchi
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Correre, corre. Genovese, 53 anni, l'anno scorso Roberta Pinotti ha tagliato il traguardo della maratona di New York in 4 ore e 49 minuti («con una caviglia gonfia fasciata», rivendica orgogliosa). In politica, negli ultimi tempi, più che maratoneta è stata centometrista: da parlamentare nota solo agli addetti ai lavori a primo ministro della Difesa donna. La corsa potrebbe non fermarsi qui, visto che il suo nome è tra quelli che più circolano nei conciliaboli sul Quirinale. Lei, ovviamente, giura che non ci pensa nemmeno: «Chiacchiere giornalistiche». Vorreste la Pinotti al Quirinale? Votate il sondaggio   Si aspettava di diventare ministro? «No, però devo ammettere che ci pensavo da tempo. Almeno da quando presiedevo la commissione Difesa: lì mi convinsi che sarei stata capace di farlo. Ma non immaginavo che sarebbe successo». Chissà quanto rosicano i colleghi maschi. «Un po' forse sì, perché c'erano politici e tecnici che aspiravano a questo incarico». Che le ha detto il capo dello Stato il giorno del giuramento? «C'è stato uno sguardo affettuoso. Napolitano mi ha sempre incoraggiata, sin da quando ero sottosegretario alla Difesa del governo Letta». Promossa al governo pur avendo perso le primarie a Genova... «E meno male! Se le avessi vinte ora sarei sindaco. E comunque, ho stravinto le parlamentarie». Scusi: se non le piaceva, perché si era candidata? «L'ho fatto perché la situazione locale lo richiedeva, consapevole che le competizioni si possono anche perdere a testa alta. Ma il mio vero desiderio era occuparmi di Difesa. Quindi voglio molto bene al sindaco Marco Doria, che mi ha sconfitto». Ma ora Genova alluvionata è anche un suo problema. Manderà i militari? «La mia città è sempre stata nei miei pensieri. In queste ore ho partecipato anche a nome del governo a tutte le riunioni in Prefettura e ho subito dato la mia disponibilità a valutare le richieste che la Protezione civile avanzerà. Le Forze Armate come sempre non faranno mancare l'aiuto». Di chi è la colpa del disastro? «Di un territorio fragile che ha bisogno d'interventi complessivi, ma anche di una burocrazia barocca». Che ci fa una pacifista alla Difesa? «Non sono mai stata una pacifista integrale, una che immagina un mondo dove non esistano le Forze Armate». Non era lei la Pinotti che alla marcia Perugia-Assisi sventolava la bandiera arcobaleno contro l'intervento militare in Iraq? «Ero in ottima compagnia. Ritenevo sbagliata quella guerra. Ma essere contro una guerra non vuole dire essere pacifisti intransigenti. Gli interventi militari in Afghanistan e in Libano, ad esempio, li ho condivisi e votati in Parlamento insieme a tutto il mio partito». Chissà a quante altre marce anti-militari avrà partecipato quando era nel Pci. «Solo a una. Ma mi spaventai nel vedere gli autonomi inferociti. Istintivamente, mi sentii subito dalla parte dei carabinieri e della polizia». Quando prese la tessera del Pci? «Nel 1989, l'anno della svolta della Bolognina». Lei era una scout. Come finì tra i comunisti? «A Genova facevo parte di un gruppo scout di un quartiere molto di sinistra. Decidemmo di partecipare alla discussione congressuale, perché Occhetto aveva chiamato a raccolta anche le forze cattoliche, e così c'iscrivemmo al Pci». Mai scesa in piazza a gridare: «Via la Nato dall'Italia, via l'Italia dalla Nato»? «Mai. Il Pci non è mai stato un partito pacifista a prescindere. Ricordo bene quando Berlinguer nel 1976 disse che preferiva stare sotto l'ombrello della Nato. E il mio pacifismo è quello dell'articolo 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Le Forze Armate non servono per attaccare, ma per proteggere». E ritiene questa filosofia compatibile con l'acquisto degli F-35? «Il problema è come si usano i sistemi di armamento. Se gli F-35 saranno utilizzati per distruggere i depositi d'armi, le caserme e i blindati dell'Isis che massacrano i civili, non li considero in contrasto con la Costituzione. L'adesione al programma JFS risale al 1998. Se andrà avanti avrà delle ricadute lavorative ed economiche, oltre che tecnologiche, importanti per il nostro Paese». Quindi andrete avanti? «Il Parlamento ha stabilito che il programma può continuare. La mia responsabilità è garantire che, in caso di minaccia, l'Italia possa difendersi». Gli interventi aerei contro l'Isis non stanno dando i risultati sperati e sono sempre più forti le pressioni per un attacco da terra. Che farete? «Tra poco andremo in Parlamento a proporre un ulteriore impegno dell'Italia. Alcuni nostri ufficiali sono appena tornati dal comando centrale Usa a Tampa, dove hanno preso parte alla pianificazione delle esigenze. Gli interventi si valutano sempre assieme agli alleati». E se gli alleati lo chiedessero, è plausibile un coinvolgimento delle truppe italiane? «Non lo escludo a priori. In Iraq c'è un governo legittimo che chiede d'intervenire, in Siria la situazione è molto più confusa. L'Italia si muoverà rispettando la Costituzione, sulla base delle richieste della coalizione che abbiamo contribuito a creare e della decisione che assumerà il Parlamento». Alla fine, lei e la Mogherini sarete giudicate da quello che otterrete per i nostri due Marò. «La matassa è già stata molto imbrogliata in passato, per dipanarla stiamo lavorando da 5 mesi con enorme attenzione. Parlarne in pubblico non aiuterebbe. Dico solo che il nostro obiettivo è riportarli a casa tutti e due. E il fatto che oggi Massimiliano Latorre sia momentaneamente qui non ci fa dimenticare che dobbiamo trovare una soluzione definitiva per lui e per Salvatore Girone». Allo scadere dei 4 mesi di licenza intendete rispedire Latorre in India, come l'altra volta? «Intendiamo risolvere la situazione definitivamente per entrambi nel più breve tempo possibile». Gli attacchi più duri a voi donne del governo sono arrivati dalle donne del Pd. Si è sentita offesa dalle critiche di Rosy Bindi sulle ministre scelte «perché giovani e belle»? «No, perché non mi considero tra le ministre giovani e belle. Mi ritengo la zia del governo, semmai. Ma secondo me la Bindi ha fatto male, tanto più che proprio lei era stata oggetto di una battuta infelicissima di Berlusconi, per la quale aveva ricevuto grande solidarietà dalle donne del Pd. Quella frase ha danneggiato più lei delle ministre». Perché crede che la Bindi abbia detto una cosa simile? «Le nuove leve stanno prendendo le redini del partito e chi fa parte delle generazioni precedenti fatica un po' a farsi da parte…». Lei da che famiglia proviene? «Mio papà era un operaio dell'Enel, mia mamma viene da una famiglia contadina. Si trasferì a Genova, dove i suoi genitori vendevano il vino che producevano ad Alessandria. Aprirono una trattoria dove lei cucinava: me la ricordo sempre dietro pile di piatti da lavare. Anch'io, quando ero piccola, davo una mano in trattoria: servivo ai tavoli, portavo i caffè, pulivo casse di fagiolini... Ho fatto questa vita fino ai dieci anni». E poi? «Alle medie davo già ripetizioni. Negli anni del liceo facevo la baby sitter, mi alzavo alle 5 per accompagnare i bimbi all'asilo prima di andare a scuola. D'estate lavoravo in una libreria». La prima cotta? «Paolo, un bellissimo ragazzo con gli occhi azzurri e la carnagione scura, che stava in III media quando io facevo la II. Io e la mia compagna di banco eravamo pazze di lui. Nessuna riuscì a uscire con lui, ma diventammo amiche del cuore». Lei mette al primo posto l'amore o la politica? «Fortunatamente non le ho mai vissute in conflitto. Io sono sposata da 26 anni sempre con lo stesso uomo. Sono come i carabinieri: nei secoli fedele». In famiglia hanno preso bene la sua carriera politica? «Le mie figlie non sono contentissime. Mio marito patisce un po', ma ha sempre pensato che sarei stata felice se avessi potuto realizzarmi. Quando aspettavo Marta, la seconda, e stavo per rinunciare a candidarmi, è stato lui a spronarmi. “Non vorrei mai che un giorno, guardando negli occhi nostra figlia, pensassi che per colpa sua hai rinunciato a una parte di te”, mi disse». Ottimo investimento. Suo marito rischia di diventare il primo First Gentleman della Repubblica. Renzi e Berlusconi hanno già parlato di lei per il Colle… «Escludo proprio che lo abbiano fatto. E comunque, non ci penso e non ci ho mai pensato». Non crede che siano maturi i tempi per una donna al Quirinale? «Certo. Dopo Napolitano. Oggi abbiamo un grande presidente della Repubblica, teniamocelo stretto». di Barbara Romano

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